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cultura dell'immagine e della parola

Torino Film Festival
Diario 2010, Giorno 6

Una scena da VampiresGiorno numero sei al Festival sotto la Mole. Giorno che è stato caratterizzato soprattutto dal commosso omaggio a Mario Monicelli, la cui scomparsa nella notte di lunedì aveva freddato l’intero Festival. Per ricordarne la grandezza, più che con mille parole, la direzione del Festival per oggi aveva deciso un fuori-programma quasi obbligato: la proiezione del suo I compagni, il film di Monicelli più legato alla città di Torino (memorabili le scene del comizio girato presso la stazione di Porta Susa). Il modo più semplice e migliore per ricordarlo.

Ma oggi è stata anche la giornata dei mockumentary. In concorso è stato il turno del bizzarro Vampires, diretto dal belga Vincent Lannoo. Un vero (finto) e proprio reportage su una comunità di vampiri in Belgio con tanto di interviste ai vari membri delle famiglie con cui la troupe documentarista arriverà in contatto. Idea decisamente originale che non riesce abilmente a cadere nei cliché dei film già visti: anzi, senza il decadentismo barocco di Intervista con il vampiro, i succhiasangue di Vampires sembrano più reali degli umani stessi, con le identiche debolezze di tutti i giorni e alle prese con i problemi familiari più comuni. E’ su questa dicotomia fra il loro mondo “capovolto” e il loro stile che pure ci pare così familiare che il film riesce a far sorridere, sfiorando spesso il grottesco. In realtà l’intera narrazione è di più che un pittoresco quadro su una comunità di vampiri, ma sembra parlare un linguaggio allegorico ben preciso, con tanto di riferimenti politico-sociali alla società belga e più in generale avanzando una satira nerissima sui temi di stretta attualità (ad esempio quello dei clandestini che nel film prendono forma della “cena” consegnata a casa). In più, nella loro horrorifica comicità, i vampiri di Lannoo sembrano essere portatori di una folle amarezza senza speranza: sono “senza più la capacità di sognare”, si pugnalano alle spalle anche se della stessa specie e qualcuno di loro ambisce a liberarsi da quella dannazione eterna che lo condanna a vagare con i propri irrimediabili difetti, senza riuscire mai ad integrarsi, nemmeno nelle società “vampiresche” più avanzate e moderne (come quella canadese). L’immagine dell’adolescente vampira che realizza il suo desiderio di tornare umana è l’unica nota di luce dell’intero film (espressa anche stilisticamente, in un finale finalmente diurno). Una solitaria come via di fuga da un oscuro futuro “in cui tutto il mondo sarà vampirizzato”.

Con meno ambizioni sociologiche l’altro mockumentary atteso era L’ultimo esorcismo, presentato per la sezione Rapporto Confidenziale. Sempre horror, ma stavolta dal sapore demoniaco, il falso documentario (prodotto da Eli Roth) segue le vicende di un predicatore che vorrà mostrare al mondo intero come la pratica dell’esorcismo in realtà sia una truffa bella e buona. Nemmeno a dirlo, durante la sua missione presso un’adolescente dichiarata impossessata dal padre, il giovane predicatore (e la troupe che si è portato dietro) si dovrà convincere del contrario. Interamente imbastico sulle stile che ha reso famoso il genere (da The Blair Witch Project fino a Rec) il film appare subito debolissimo sia dal punto di vista narrativo, sia da quello stilistico, visto che il susseguirsi troppo rapido di diverse inquadrature in real time, conferisce di fatto un carattere quasi alternato al montaggio, sfociando praticamente nella pura fiction. Questa scelta stilistica ibrida e poco convincente non aiuta affatto a coinvolgere lo spettatore in una sceneggiatura che fa fatica a decollare (o semplicemente a spaventare), tanto che alla fine si è obbligati quasi a rimpiangere la camera fissa di Paranormal Activity.

C’è spazio anche per Festa Mobile con la proiezione di NEDS (acronimo inglese traducibile come “Delinquenti non educati”) che costituisce forse il lavoro più personale di Peter Mullan (già Palma d’Oro a Cannes con Magdalene) raccontando le vicende delle giovani bande di strada scozzesi (di cui anche il regista fece parte durante la sua adolescenza). Un film toccante, che condensa i temi preferiti dall’autore: dall’ostilità e dalla violenza della società fino agli scontri familiari e generazionali più alienanti. La storia del giovane John Mc Gills, del suo promettente futuro da studente destinato a precipitare invece nella follia più cruda ed insensata, è anche la storia di una società che non riesce ad emanciparsi perché vittima dell’incomprensione costante che si respira nelle sue istituzioni, da quella scolastica a quella familiare. Dove chi è perduto resta perduto e dove perfino le ambizioni più brillanti possono essere represse e tramutate nel loro esatto contrario. Un atto di accusa rancoroso e spietato, che terminerà con lo smarrimento della vittima e del suo carnefice in un simbolico zoo, rappresentazione di una società-gabbia in cui la natura selvaggia delle sue creature è allevata (educata) in cattività senza più nemmeno essere capace di sprigionare quei lampi di ribellione necessari per liberarsi.

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