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Aspetta e spera
Venezia, la chiusura

Sofia Coppola con il Leone d'Oro appena ricevuto  Ha vinto Somewhere. Il film di Sofia Coppola si è aggiudicato il Leone d’Oro della Mostra numero 67, un’edizione concentrata e ossessionata sull’uomo. Ha vinto, però, la linea morbida, sicura, non sorprendente e soprattutto poco rischiosa. Perché ha vinto Somewhere, un film ricco, non solo dal punto di vista cinematografico, un film ottimista (uno dei pochi di questa Mostra), un film Usa (come Tarantino). Ha vinto un film di una regista giovane, che avrebbe potuto vincere (meritando) qui a Venezia già nel 2003 con Lost in Traslation. La Mostra 67 si chiude così, con qualche perplessità (anche altri film meritavano ma sono rimasti a secco: Il fosso e Post Mortem su tutti, senza dimenticare Meek’s Cutoff, Venus Noire e Potiche) e con la certezza che (visti i premi) il peso specifico di Quentin abbia contato molto, ma molto, ma molto.

Ecco i premi. Leone d’argento per la migliore regia a Alex de la Iglesia per il film Balada triste de trompeta; Premio Speciale della Giuria a Essential Killing di Jerzy Skolimowski; Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile a Vincent Gallo in Essential Killing; Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile ad Ariane Labed in Attenberg di Athina Rachel Tsangari; Premio Marcello Mastroianni a un’attrice emergente a Mila Kunis nel film Black Swan di Darren Aronofsky; Osella per la Miglior Fotografia a Mikhail Krichman per il film Silent Souls di Aleksei Fedorchenko; Osella per la Migliore Sceneggiatura a Alex de la Iglesia per Balada triste de trompeta; Leone Speciale a Monte Hellman; Premio Venezia Opera Prima (Luigi de Laurentiis) a Majority di Seren Yüce; Premio della 25° Settimana della Critica a Beyond di Pernilla August; Controcampo Italiano a 20 Sigarette di Aureliano Amadei.

Al di là dei miei premi personali, questa Mostra 67 ha avuto un suo personalissimo stile, meno rigoroso di certe edizioni ma forse anche meno propenso alla ricerca, una sua forte identità, concentrata sui valori dell’essere umano, sul suo pensiero, la sua maturazione, i suoi desideri. Mi è parso significativo quanto si sia investito sul concetto di sopravvivenza, di vita e di morte, aspetto importante che proietta il cinema di questa modernità capace di leggere non solo il contesto ma anche i soggetti, le cause, le conseguenze. Un bilancio positivo, con pochi film deludenti/scadenti in Concorso (solo tre, personalmente: Happy Few, Promises Written in the Water, Miral), tanto cinema italiano (forse troppo, oltre trenta i titoli nelle diverse sezioni della Mostra), l’aumento dei biglietti nonostante l’assenza del glamour e di passerelle di richiamo sul red carpet (forse un bene).

Ora la parola spetta al mercato e agli spettatori. Alla fine di ogni Mostra ci si chiede quali e quanti film verranno distribuiti e in che modo. E ce lo chiediamo anche ora.
Si chiude la Mostra 67. Quella dei due nubifragi con annesse evacuazioni dalla sala stampa, delle poche conferenze stampa a causa degli orari sovrapposti, dei film sul corpo, sul ballo, sulla finzione, sulla fuga e la sopravvivenza. Ciao alla Mostra che mi ha fatto ridere poco, pensare di più, parlare di meno, scrivere con più calma, leggere qua e là. La Mostra del film di Monte Hellman con Tarantino e la giuria in Sala Darsena, quella del caffè di Samuel Maoz e Fatih Akin, dei film di Takeshi Miike, Carlo Mazzacurati e Vincent Gallo, dei due film cileni, dei due film greci, del cinema comico divenuto oggetto di studio serio, delle lacrime amare, dei pianti a dirotto, delle urla. Una Mostra di liquidi, vomiti, eiaculazioni, topi cotti e mangiati, sfide a Guitar Hero, tradimenti scontati o sorprendenti, rivoluzioni soffocate col pensiero o immaginate, matti da slegare, storie da raccontare, libri divenuti film, film mai divenuti film; cigni neri e pecore nere, giostre di libertà, prigioni, killer in fuga, inseguiti, invasati, inguaiati; mostri, clown, schiave, schermi negli schermi. La Mostra dal dibattito debole, delle frasi scontate, dei film senza la politica e di quelli senza il denaro. L’anno in cui il Mouse d’Oro è diventato un premio collaterale e ogni giorno il Venews pubblicava i voti della “critica online”.
L’anno della Mostra 67, l’ultima prima della 68. Quella che aspetto e spero.

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