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cultura dell'immagine e della parola

Aspetta e spera
Venezia, 4 settembre

Esco da una sala dopo un film e nel tragitto che mi conduce in un’altra sala, per un altro film, finisco dietro una giovane donna che è al telefono con il suo uomo visto che lo sta coprendo di insulti e, dallo sguardo inferocito, se potesse non so cosa gli farebbe. Parole pesanti, insulti gravi, c’è di mezzo la fiducia e, soprattutto, un’altra. Non ce la faccio ad ascoltare un’altra parola. Che imbarazzo, cambio marciapiede. Dopo, entro in una sala per un film e, sulla destra, c’è un uno che mi chiede se vado allo spettacolo di mezzanotte e io gli dico di no perché il sesto film, a quell’ora, è davvero troppo e sono stanco, ma lui dice che ci va. Poi, davanti a me di una fila, durante lo stesso film (Malavoglia di Scimeca, avessi detto Romeo e Giulietta di Zeffirelli o Titanic) ci sono due che ancora prima che si spengano le luci iniziano a limonare duro e a pomiciare e non la smettono un minuto: insomma alla mia sinistra c’è una bambina di neanche undici anni che guarda il film col papà, un po’ di contegno. Dopo cinque minuti che è iniziato il film, che inizia alle dieci, il tipo che vuole andare a quello di mezzanotte dorme che russa che pure i due che pomiciano e limonano se ne accorgono e la bambina se la ride e io vorrei farglielo notare, ma non ce la faccio, perché mi imbarazzo per davvero. Così, il tipo continua a dormire e i due riprendono a limonare duro e pomiciare e la bambina a guardare il film col papà. Questioni di intimità che sfociano nell’imbarazzo diventando cosa pubblica. Oggi ho trovato tracce di quello stesso imbarazzo-misto-vergogna-misto-intimità-violata, riuscendo così a scrollarmi di dosso quello della sera prima.

Dall’ottimo film di Carlo Mazzacurati, La Passione, irriverente e intelligente nel sovrapporre alla vicenda di un regista (Silvio Orlando) in piena crisi artistica la sfera privata e quella popolare, il valore della realtà e la fragilità della finzione, di una rappresentazione sacra. La commedia così rappresentata fa ridere ma riesce pure a spingersi oltre toccando con amarezza (ma forse ce ne poteva stare di più) anche i temi cari al regista, come l’impegno e la passione civile. Discorso simile vale per il divertente Potiche di Francois Ozon, tratto dall’omonima piece teatrale di Barillet e Grédy. Il film funziona per tanti motivi: dall’impianto vintage anni Settanta al cast capitanato da Catherine Deneuve ma con al seguito Fabrice Luchini, Gerard Depardieu, Jeremie Renier. Potiche è un trionfo della femminilità e del femminilismo, insegue, in sottofondo, un’aspra critica sociale e raggiunge livelli di comicità esilarante e un po’ inaspettati. Imbarazzo e intimità che si tingono di giallo, ma non mancano pesanti risvolti psicologici, nel calibratissimo Hitparzut X (Naomi), dell’israeliano Eitan Zur secondo film della Settimana della Critica. Un racconto che indaga con soluzioni narrative originali e inusuali le dinamiche dell’amore e della gelosia. Atmosfere rarefatte, tensione, humor e un colpo di scena finale d’altri tempi, consolidano il film tra i migliori di questa Mostra.

Di altro genere, invece, il terzo film in Concorso, Meek’s Cutoff di Kelly Reichardt. La regista statunitense (Old Joy e Wendy and Lucy nel 2008) realizza un western dai contorni psicologici per indagare la natura umana. Meek’s Cutoff, con Michelle Williams e Shirley Henderson, racconta il senso della fiducia nei confronti dell’estraneo. Un’idea intrigante (siamo nel 1845 e una carovana di tre famiglie si smarrisce nel deserto e incontra un indiano sul proprio percorso) che non sempre ingrana.

Questa storia dell’imbarazzo mi piace. Ora vedo se scopro qualche nuovo soggetto sparso per il Lido con cui campare di rendita nei prossimi giorni. Non dovrebbe essere difficile vista la quantità di birra (gratis) che gira.

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