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cultura dell'immagine e della parola

Aspetta e spera
Venezia, 1 settembre

La Mostra entra nel vivo, anche se c’e' gia' qualcuno che non ne puo' piu'Il doppio e i suoi specchi; le trame fitte e misteriose dell’incubo mescolate ai toni gravi del melò classico; la rincorsa lunga verso la perfezione che si scontra con la fuga dalla propria esistenza. Con Black Swan, Darren Aronofsky, sembra abbia voluto proseguire il discorso iniziato con il personaggio di Mickey Rourke in The Wrestler: si addentra nell’animo dell’essere umano per raccontarne le fragilità e la propensione all’autodistruzione, alla tragedia, alla fine. Dopo la visione del film emergono alcune questioni: la grande abilità di Aronofsky (terza volta a Venezia) nel mescolare generi, nel dirigere attori, nel raccontare storie al limite tra minimalismo e classicità senza sfondare nel patetico, nel confermarsi autore di un cinema vertiginoso e, negli ultimi due casi, caleidoscopico; Natalie Portman è una vera attrice; il cinema, anche quando non sembra del tutto originale (si potrebbe stilare un elenco di film a cui Black Swan rimanda) ha la possibilità di emozionare e affascinare, senza rinunciare allo spettacolo. Black Swan appartiene a questo tipo di cinema. The Wrestler è proprio un gran bel film, è irraggiungibile. Riscopritelo se non lo avete ancora visto.

Il filo conduttore che, finora, sembra tenere insieme le scelte della Mostra è certamente il sogno. Oltre a Black Swan, dove lo spettatore è immerso in un incubo a tinte horror-metamorfiche, lo confermano pure altri due film: Le bruit des glacons, di Bertrand Blier e La belle endormie, di Catherine Breillat. Nel primo caso, nonostante una sceneggiatura originale ma un po’ farraginosa, la lotta di un uomo contro il cancro si trasforma in un racconto sarcastico e pieno di spunti onirici e irriverenti che non sfrondano mai nel banale, anzi, fanno trionfare l’amore come metafora della vita. Nel secondo caso, Catherine Breillat mette in scena il lungo sogno della piccola principessa Anastasia, colpita da una maledizione a sei anni e costretta a dormire e a svegliarsi cento anni dopo. Ricco di rimandi al mondo delle fiabe, colmo di nani, albini, finti giganti e gitani, il film segue il tragitto del racconto formativo mostrando crudeltà e ferite della crescita, ma sembra smarrire per strada (anzi nel bosco), l’entusiasmo e la passione della sua protagonista.

Sarà una Mostra caratterizzata dalle donne? Probabile. Il ruolo della Portman, di Freida Pinto e Hiam Abbas (in Miral), della Deneuve (Potiche), di Alba Rohrwacher (La solitudine dei numeri primi) e di Michelle Williams (Meek’s Cutoff) oppure il lavoro delle novelle Sophia Coppola d’Italia come Giorgia Cecere, Elisabetta Sgarbi, Giada Colagrande, Paola Randi, Giovanna Taviani o Roberta Torre, potrebbero lasciare un segno indelebile sulla Mostra. Aspettiamo e vedremo. La Mostra entra nel vivo, anche se c’è già qualcuno che non ne può più.

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