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cultura dell'immagine e della parola

(omo)sexual revolution

(omo)sexual revolution

È il 1957 quando il poema beat di Allen Ginsberg inizia a riscuotere grande successo, anche grazie alla fama scaturita dallo scandalo di un processo per oscenità. Alcuni particolari versi sono infatti condannati dalla censura. La nuova forma utilizzata dallo scrittore è o meno degna di essere considerata letteratura? Ginsberg, che nel film è interpretato da James Franco (conosciuto come l’amico-nemico di Spiderman), è un giovane bello e delicato, un’intellettuale dagli occhiali spessi. Che senza sorridere mai troppo racconta dal suo divano, illuminato da una luce verde, i suoi ricordi. Ricostruisce pian piano la sua storia raccontando il passato, dipinto in un didascalico bianco-nero, passando attraverso la scoperta della vena poetica, ma soprattutto dell’omosessualità.

Una pagina cruda della società americana degli anni Cinquanta, ancora conservatrice. Ma da questa società emergono le parole, la forma sintattica della scrittura di Ginsberg, quel “fraseggio del jazz” trasposto in poesia, così incomprensibile, apparentemente intricatissimo, eppure davvero capace di avvicinarsi al vero pensiero di una nuova generazione, quella post-bellica. Ed è proprio mentre Allen si rivolge a un pubblico di amici e altri giovani a San Francisco, che la camera riprende improvvisamente primi piani dei volti, come a indicare la sua capacità di avvicinarsi alla nuova generazione. Epstein e Friedman, vincitori di due premi Oscar, spesso si sono avvicinati alle tematiche gay, e fanno sfoggio della loro esperienza documentaristica nel rappresentare il film quasi nella forma di un’intervista, ma soprattutto dimostrando una capacità didattica eccezionale. Per farlo si servono anche dell’animazione: mentre le dita di Allen battono i tasti della macchina da scrivere, la mente vola e si correda di immagini. I disegni, che sono stati realizzati ed animati in Thailandia, cercano di ricostruire le allucinazioni mentali di Ginsberg, con un risultato a dire il vero non sempre convincente. Sono invece più efficaci le architetture viste in soggettiva, che con un montaggio veloce e sconnesso, si avvicinano davvero alla forma della poesia beat. Le famose foto di Allen, Orlowsky, e di Neal Cassady e Kerouac che si trasformano in immagini del film, commuovono un po’ i nostalgici della beat generation.

Commuove soprattutto il ricordo di un periodo storico americano nel quale il citato “Moloch” era ancora soltanto uno spettro fatto di grattacieli e uomini in giacca e cravatta, che non si era impossessato della massa e non aveva intaccato con il suo morbo le menti intellettuali. Quelle di cui Ginsberg avrebbe appunto scritto, ripreso dall’incipit di questo film: “Ho visto le migliori menti della mia generazione distrutte dalla pazzia…”.

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