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Mater non semper certa

Mater non semper certa

François Ozon giunge ad affrontare il tema della maternità e lo fa a modo suo. Cominciamo dalla fine, cosa che per il regista francese non è un arbitrio, visto il percorso narrativo a ritroso che compie nel bellissimo CinquePerDue – Frammenti di vita amorosa (5×2 cinq fois deux, 2004). Il finale di Il rifugio vede Paul guardare con intensità il bambino che Mousse gli ha affidato. Lo fissa con istinto materno, più che paterno, coerentemente con la sua sensibilità femminile. E’ uno sguardo, il suo, che fa pensare a quello di accettazione del bambino demoniaco, da parte di Mia Farrow, in Rosemary’s Baby (Roman Polanski, 1968). Ozon realizza l’opera partendo da un’inversione del capolavoro di Polanski, in cui il diavolo diventa un angelo, proprio come quello di Ricky – Una storia d’amore e libertà (Ricky, 2009). La madre di Louis vuole far abortire Mousse da un ginecologo di fiducia, mentre la signora Castevet voleva, al contrario, far partorire Rosemary, affidandola anch’essa a un medico fidato. Un’altra delle simmetrie tra i due film.

Ozon raffigura i due personaggi maschili idealizzandoli come apollinei, anche Louis che pure dovrebbe avere il corpo consumato dalla droga. Mousse, per contro, è reale. Il suo corpo sta passando uno stato di gravidanza, viene ripresa con tutte le sue imperfezioni, la pelle butterata, senza trucco. La sua figura è connotata da una bellezza diversa, interiore. In questo si evince la sensibilità omosessuale del regista, che comunque si traduce in una visione assai complessa e sfaccettata della vita. Se la storia presenta tratti in comune con l’opera di Ozpetek, si pensi solo al ménage à trois tra una copia gay e una donna, non si può non notare come l’autore francese si collochi a un livello decisamente più alto del collega italo-turco.

Alla fine Paul sarà madre a tutti gli effetti, non come Rosemary che accetta un figlio che sente come non suo, ma come un uomo che percepisce intimamente il figlio, da madre. Tecnicamente è il fratellastro del padre e ha “inseminato” la madre. Ozon afferma, ancora una volta, e a maggior ragione con questa opera, la possibilità di superare le mere leggi biologiche riproduttive. L’affetto può andare ben oltre le medesime. Sempre in CinquePerDue, raccontava di come una donna lesbica potesse inseminarsi semplicemente con un cucchiaino: le leggi della natura possono essere così facilmente forzate e modificate, senza bisogno di complicate tecniche in vitro. Significativa è la storia della madre di Louis e Paul che aveva finto una gravidanza, nascondendosi per nove mesi. Una situazione simmetrica a quella di Mousse che si rifugia invece proprio per portare avanti il parto. Il figlio, per l’anziana donna, doveva essere fatto passare come naturale, sarebbe stata una vergogna ammetterne l’adozione. La madre, perbenista e cinica, da film di Chabrol, si configura come un emblema di quella borghesia eterosessuale che Ozon ha sempre inteso scardinare. Ora arriva a porre uno stretto legame tra leggi biologiche e borghesia, e questo rappresenta l’ultimo tassello del suo percorso autoriale.

Curiosità
Isabelle Carré è stata scelta tra tre attrici che erano incinte, al momento di ideazione del film. Mentre Ozon scriveva la sceneggiatura, era al sesto mese. Il film è stato poi realizzato a tempo record per poter cogliere gli ultimi mesi del suo stato interessante.

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