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Ritratto di un instancabile giramondo

Ritratto di un instancabile giramondo

Girare un documentario sulla vita di un grande professionista non è sicuramente impresa facile: ci sono documenti da ricercare, interviste da fare e, soprattutto, una sceneggiatura da scrivere che non cada nel pericolo, sempre in agguato quando si tratta di questa tipologia di film, di passare dal genere biografico a quello agiografico. Se il personaggio in questione è Ferruccio Castronuovo, tale impresa parrebbe quasi impossibile, tanto numerose sono state le sue esperienze professionali e umane. Fumettista, cabarettista, attore, scrittore, regista, la vita di Ferruccio sembra davvero un continuo viaggio, una perenne avventura, ed è proprio questo il filo conduttore dell’affettuoso ritratto che Thierry Gentet dedica al maestro, soggetto, interprete e voce narrante di questa docu-fiction attraverso cui si ripercorrono le tappe più significative della sua vita e della sua carriera. Dalla Puglia all’Etiopia, da Parigi a Roma, la vita di Ferruccio è una storia da raccontare, una vita passata a ricercare storie da raccontare.

Come egli stesso afferma durante la prima del film in Italia, presso l’Apulia Film Commission, “ho iniziato a raccontare ciò che avevo attorno e ciò che avevo attorno era la Puglia”: è proprio qui che avviene l’iniziazione del maestro a quello che è il cuore del cinema, ovvero la sua vocazione narrativa, una vocazione che, come egli stesso sottolinea, sembra esser stata dimenticata da molti che il cinema lo fanno o pretendono di farlo. Per Ferruccio, infatti, scrivere una sceneggiatura è come scrivere un romanzo: essa è alla base di un film e solo la storia permette al cinema di superare il passaggio della Storia. Sono stati gli sceneggiatori a contribuire fortemente a render tale l’“epoca d’oro” del cinema italiano, che mai come in questo momento ha bisogno di riprendere a raccontare storie per poter recuperare il suo posto nella Storia.

Thierry lascia parlare Ferruccio, lo accompagna ai luoghi a lui cari, accostando il suo racconto a vecchi filmati in bianco e nero, ricostruzioni di alcuni episodi della vita del regista e immagini tratte dal backstage de La città delle donne di Fellini, con il quale a lungo ha collaborato. Fellini torna spesso nelle parole di Ferruccio: lui, aiuto regista del maestro, è stato a sua volta regista del Fellini personaggio, del Fellini che ricostruiva in toto la realtà in studio perché temeva di confrontarsi con essa dal vero, del Fellini grande regista perché aveva pienamente compreso che il cinema è fatto di fantasia e di ironia. Proprio l’ironia è per Ferruccio il carburante necessario a questo treno affinché non smetta mai di superare una stazione dietro l’altra. “A settantadue anni conservo lo spirito di un bambino” ed è con gli occhi dei bambini che ci invita a guardare la vita, a guardare il cinema, per restituirgli lo scopo per il quale è nato: quello di essere la fabbrica dei sogni.

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