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Una presunta femminista ante litteram

Una presunta femminista ante litteram

Prima di recensire l’ultimo film di Sönke Wortmann, è doveroso fare una precisazione: La papessa non è un film su di una donna pontefice, come il titolo farebbe intendere. Tale infatti sarebbe stato se Johanna avesse conservato il suo nome, il suo viso, il suo corpo di donna, se la sua femminilità non fosse stata qualcosa da dimenticare, da nascondere con cura e attenzione. Ma la carriera di Johanna all’interno della gerarchia ecclesiastica è avvenuta con il nome di Johannes, dunque sotto mentite spoglie maschili, obbedendo a quelle regole e facendo propri quei codici comportamentali che governano e guidano i giochi di potere tra gli uomini e da cui le donne sono completamente escluse. Non una papessa, dunque, bensì una donna che è dovuta ed ha voluto diventare uomo e che solo come tale ha avuto modo di sedere sul trono di Pietro. Sebbene l’intera vicenda sembri particolarmente adatta ad una interpretazione di tipo femminista (ed è questa, appunto, la chiave di lettura prediletta dal regista), non si può non notare come tale tipo di interpretazione sia assolutamente fuori luogo, non solo per l’epoca storica in cui tale vicenda si è verificata (tentare una metafora femminista nell’IX secolo è come minimo ridicolo) ma anche per quella che è stata la vera Johanna, almeno stando a ciò che le scarse fonti documentarie ci hanno riportato.

Ciò che nuoce maggiormente al film di Sönke Wortmann, a parte la banalità delle scenografie, gli inguardabili costumi degli ecclesiastici romani e l’incapacità dei truccatori di mostrare sui volti degli attori una minima traccia del passare del tempo, è l’aver voluto rendere la sua protagonista una vittima predestinata dall’epoca in cui è vissuta, in quanto donna, in quanto povera e in quanto intellettuale. La vera Johanna, invece, fu una nobildonna estremamente spregiudicata e ambiziosa, interessata più al potere e al modo di ottenerlo che alle scuole ecclesiastiche per giovinette. Proprio questo avremmo voluto da Wortmann: un film su una donna tenace, non vittima della Storia bensì così ben integrata in essa da ingannarla, piegandola al suo volere anche a costo di pagare questa audacia con la vita (secondo la leggenda, infatti, una volta scoperta la papessa fu brutalmente lapidata dalla folla di Roma). Il regista tedesco, invece, trasforma questo personaggio misterioso e non privo di lati oscuri in una timida, seppur coraggiosa, intellettuale, trascinata dalla Storia più che desiderosa di plasmarla alla sua ambizione; in una improbabile paladina delle bambine, a cui mostra come unica strada, per farsi largo nel mondo, quella del travestitismo (e questo è sicuramente uno dei momenti più ridicoli di tutto il film); in una pasticciona, che preferisce la “carriera” all’uomo che ama (il conte Gerold, da inserire a buon diritto negli annali dei personaggi insulsi dei film) ma poi muore mentre aspetta un bambino da lui.

Più che simbolo femminista, la Johanna di Wortmann è simbolo del fallimento della lotta femminista, poiché utilizza per combattere lo stesso linguaggio, gli stessi strumenti degli uomini ma a questi, infine, soccombe, perché non le sono mai appartenuti veramente. Uomo per necessità e per comodità, la papessa non conosce la vera portata drammatica del suo gesto, lo stempera in una storia d’amore insignificante e muore silenziosamente, negando a se stessa anche la gloria (in negativo) del boato inferocito di una folla ingannata da una donna.

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