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Schegge da Cannes
Il Ciad in guerra

Mahamat-Saleh Haroun durante il photo call del suo film a CannesUnica pellicola africana a concorrere quest’anno al Festival è l’ultimo lavoro del regista Mahamat-Saleh Haroun, Un homme qui crie (L’ uomo che grida), già autore acclamato qualche anno fa alla Mostra di Venezia con Daratt. Lo scenario è quello di un padre sessantenne, Adam, ex campione di nuoto, e del figlio Abdel, che lavorano nello stesso albergo, gestito da proprietari cinesi, alternandosi alla cura della piscina.

Fuori il dramma della guerra civile in Ciad e della miseria della gente. Una piscina che rappresenta per il padre non solo il lavoro “sicuro”, ma tutta la vita (anche legato ai trascorsi gloriosi). Quando un giorno però gli chiedono di andare in pensione a favore del figlio, qualcosa tra i due si rompe. E quando, non avendo soldi per pagare le tasse, il governo pretende da Adam che il figlio si arruoli per combattere i ribelli, lui, accecato dalla sofferenza per il lavoro perso, non fa nulla per avvertirlo. Così facendo, perderà il figlio per sempre. Il ricongiungimento ci sarà, ma troppo tardi.

Una pellicola interessante a tratti, perché non solo storicamente ci rimanda alla difficile situazione che il Ciad ha vissuto tra il 1975 e il 1982 (in realtà anche recentemente per il conflitto col Sudan), ma anche perché ci mostra tutti gli effetti collaterali, emozionali e non, di uno dei periodi più tragici per questo paese. Padre e figlio un tempo legati, poi separati, alla fine riuniti, ma con la consapevolezza di non poter più condividere un futuro insieme. Alla fine molti applausi, ma anche qualche sbadiglio. È un film che può passare inosservato, ma che con una giuria così variegata, può risultare alla fine magari la sorpresa del festival.

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