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cultura dell'immagine e della parola

Il sentimento puro di Lasse riscalda Hollywood

Il sentimento puro di Lasse riscalda Hollywood

“I am a coin in the United States Army. I was minted in the year 1980.
I have been punched from sheet metal, I have been stamped and cleaned,
my edges have been rimmed and beveled.
But now I have two small holes in me, and I am no longer in perfect condition”

(Sono una moneta dell’esercito americano; sono stato coniato nel 1980. Sono stato metallo temprato, levigato e forgiato. Ma ora ho due piccoli buchi in me e non sono più in perfetta forma)

Così prende avvio Dear John, delicato dramma contemporaneo diretto da Lasse Hallström, nell’ennesimo adattamento da quel pozzo inesauribile di storie romantiche velate di malinconia che è Nicholas Spark. Il potente image system innescato dalla metafora iniziale e set-up per le scene successive, acquisterà significato col dipanarsi della matassa, quando sarà chiaro che l’introverso e ribelle John Tyree del titolo, orgoglioso soldato ventenne durante l’epoca Bush Jr, è una moneta della zecca di stato, abituata a parare i colpi della vita con una corazza difensiva dura come il metallo, ma che non offre, però, protezione contro la forza propulsiva di due proiettili che lo marchieranno a vita, mettendolo fuori combattimento. Fuor di metafora, i due fori di proiettile non sono altro che le figure del silenzioso padre, con cui John ha un rapporto conflittuale di incomprensione e orgoglioso soffocamento delle emozioni e della mina vagante Savannah, la ragazza perfetta che riuscirà a farlo emozionare e a fargli scoprire il senso della vita, l’amore e la dedizione incondizionata agli altri. E così come la moneta mal coniata custodita dal padre racchiude in sé un inestimabile valore sia economico, sia affettivo (era il resto che il gelataio aveva dato vent’anni prima al piccolo John), così pure il tormentato John, duro dal cuore tenero, supera le sue paure e acquista maggior spessore come uomo – tradotto, porta a compimento il suo percorso di crescita e formazione – con lo stratificarsi delle esperienze e con la presa di coscienza che solo aprendosi agli altri – donando, cioè, agli altri una parte di sé (i due fori di proiettile), senza il timore di risultare debole – può veramente e finalmente “sentire”.

Il regista svedese ancora una volta sa come tradurre in immagini le emozioni e scatenare una serie di reazioni a catena nel pubblico. Il casting, dal canto suo, ha il merito di avere condotto un incontestabile lavoro di scrematura, scegliendo come protagonisti due giovani attori sulla cresta dell’onda, ottimi per raggiungere i cuori degli spettatori grazie alla loro spontaneità e al loro genuino fascino americano. Tra il coro di personaggi secondari spunta anche un ex-bambino prodigio, che volava sulla bicicletta con l’extra-terrestre più amato di tutti i tempi nel lontano 1982 (E.T., Steven Spielberg). Il sistema di figure retoriche e tagline – bello il riferimento alle monete; sdolcinato, ma poetico, quello alla luna; patetico e stucchevole il “see you soon, then” e altre frasette fatte – serve da imbastitura a questo “quasi” ordinario dramma umano, attualizzato e reso più vivido dal riferimento alla guerra in Iraq a seguito dell’attacco alle Torri Gemelle. Il soldato del titolo, come un novello ufficiale e gentiluomo, intreccia le vicende sul campo di battaglia a quelle amorose, che prevalgono infine su tutto, portando alla luce la tragicità carica di erotismo esplosivo sottesa ad una storia di amore non goduto, fascinoso per certe sognanti menti femminili, ma di poco impatto emotivo sul pubblico di sesso opposto, nello stile dei più strazianti e melodrammatici manga e poi anime giapponesi, da Lady Oscar (1979) a Georgie (1983).

Insomma, per un film che ha scalzato dalla prima posizione al botteghino Avatar (James Cameron, 2009) non si può certo dire che non sia stato amato dal pubblico: temi popolari e storie d’amore combattuto fanno sempre felici le giovani spettatrici, se trattati con tatto e pacatezza. E, pur non essendo un capolavoro nel suo compiaciuto indugiare in situazioni melò estreme, Dear John è un film ben fatto e piacevole; un film che trasmette sensazioni vere senza mostrare, ma lasciando immaginare. E se la fantasia dello spettatore è stimolata, si può affermare che lo scopo perseguito sia stato ottenuto.

Curiosità
Il film è tratto dal romanzo di Nicholas Sparks Dear John (2006), tradotto in italiano con Ricordati di guardare la luna (Frassinelli, 2007). Omonima del libro, la pellicola anticipa sin dal titolo l’inevitabile risoluzione della storia d’amore tra John e Savannah, per il riferimento esplicito alla cosiddetta “Dear John letter”, la missiva diventata metafora di abbandono dell’uomo da parte della donna fin dai tempi della Seconda Guerra Mondiale, quando le mogli e le fidanzate degli uomini al fronte inviavano loro delle telegrafiche missive per informarli che erano cadute nella braccia di un altro uomo.

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