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Due donne per un bebé

Due donne per un bebé

A voler vedere il bicchiere mezzo pieno, potremmo notare che – pur lentamente – l’omosessualità sta diventando un argomento sempre meno “minato” per la produzione televisiva e cinematografica italiana. Negli ultimi mesi abbiamo visto nei cinema un film dedicato all’amore tra due donne, Viola di mare; mentre la fiction televisiva ci ha proposto Io e mio figlio, sequel (in verità piuttosto annacquato) della miniserie Mio figlio, che nel 2005 fece urlare allo scandalo per la scelta di portare sul piccolo schermo il rapporto tra un genitore e il figlio gay. Tutto questo mentre al Grande Fratello si susseguono baci saffici e si problematizza l’innamoramento di un concorrente omosessuale per un altro concorrente etero. A voler vedere il bicchiere mezzo vuoto, invece, ci sarebbe da far notare che i media, da questo punto di vista, stanno due passi più indietro rispetto alla società civile. Insomma, a più di tre anni dal dibattito sui diritti civili delle coppie omosessuali, tv e cinema nostrani – lungi dal portare in scena la complessità delle problematiche sociali legate allo status di omosessuale – sembrano ancora occupati a interrogarsi su come possa essere rappresentata la figura del gay. Un ritardo piuttosto sconfortante.

Fortuna che esiste il documentario. Un genere che in Italia, per quanto inspiegabilmente confinato in una nicchia (possibile che il servizio pubblico non faccia nulla per promuoverlo?), continua a dimostrarsi vitale e in sintonia con lo “spirito dei tempi”. Ne è testimonianza questo Over the Rainbow, di Maria Martinelli e Simonetta Cocozza, che ci mette di fronte a quelle che sono le difficoltà che una coppia lesbica è costretta ad affrontare nel momento in cui decide di avere un figlio. Una tematica, quella della famiglia omosessuale, solo sfiorata dalla fiction nel 2006 con Il padre delle spose, dove un attonito Lino Banfi scopriva che la figlia emigrata in Spagna si era sposata senza avvertirlo con una donna che aveva avuto una figlia da una relazione precedente. Eppure è esperienza comune che lo scoglio più grosso da superare per una coppia omosessuale, allo stato attuale delle cose, sia proprio il veder riconosciuta la propria aspirazione alla genitorialità. E non mi riferisco solo all’aspetto legislativo della questione, caratterizzato in Italia dalla solita voragine normativa che costringe fughe all’estero e lascia comunque escluso dal riconoscimento il genitore non biologico. Parlo anche dell’opinione comune, che vede perfino i più progressisti mettere in dubbio il fatto che due persone dello stesso sesso possano crescere un bambino.

Over the Rainbow racconta proprio questo: l’infinita forza di volontà che due donne devono tirare fuori per potersi “permettere” un figlio tutto loro. Il nocciolo del problema, infatti, non è tanto la rappresentazione dell’iter burocratico e organizzativo che Daniela e Marica, le protagoniste del film, devono affrontare per arrivare alla gravidanza, quanto il lavoro che devono fare prima su se stesse e poi sulle proprie relazioni con familiari e amici. Questo approccio si traduce in una struttura filmica costruita su una serie di dialoghi e discussioni che sviscerano da più punti di vista il tema centrale. Una scelta piuttosto netta, sia chiaro, che può essere amata o odiata. Se siete fan dei documentari-shock, quelli che muovono verso l’indignazione, qui non troverete grande soddisfazione. Over the Rainbow è un documentario tutto psicologico, che si propone di parlare della società attraverso una singola storia, in ossequio alla visione per cui “il privato è politico”. Il suo passo è quello del confronto tra persone e della riflessione intima. E la sua efficacia risiede tutta nel metterci di fronte a emozioni e inquietudini perfettamente umane e comprensibili. Il rovescio della medaglia, d’altra parte, sta nello sforzo che richiede allo spettatore: quello dell’empatia.

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