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Vecchi schemi, nuove situazioni. E due grandi comici

Vecchi schemi, nuove situazioni. E due grandi comici

Sebbene facciano storcere il naso alla fetta di pubblico più snob, che poco concede all’intrattenimento di massa, i nomi di Carlo ed Enrico Vanzina sono associati non soltanto ai più recenti e scadenti titoli (Olè, Il ritorno del Monnezza, Matrimonio alle Bahamas), ma anche ad altre commedie ben più riuscite (I mitici – Colpo gobbo a Milano nonché gli stracult per amanti del genere Fratelli d’Italia e i due capitoli di Sapore di sale). L’ultimo La vita è una cosa meravigliosa è un esempio di come trarre il meglio da un cast ad alto potenziale, da plot incentrati su situazioni-tipo non così distanti dalla realtà, da personaggi emblematici di un universo forse parallelo rispetto a quello del cinefilo ma, in effetti, orbitante intorno a ognuno di noi.

Siamo nell’upper-class romana, popolata da un’alto-borghesia che ha raschiato il fondo per risalire la cima, o che l’ha trovata comodamente spalancata grazie a un diritto ereditario. Due generazioni a confronto, quella dei figli e quella dei padri che lavorano per i figli, due status sociali che si incontrano con esito vittorioso (è pur sempre un’opera di fantasia), i ricchi e i poveri. Ma se a interpretare quelli che sulla carta sembrano vetusti copioni da commedia dell’arte ci sono due attori formidabili, di quelli da incassi record teatrali come Proietti e Salemme, una dolcissima anti-diva come Luisa Ranieri (ben distante dalle bellone di turno “una stagione e via”), e buoni attori di contorno, il risultato non è poi così scontato. Salemme, il comico che ha aggiornato la verve napoletana, ripulendola e collocandola in una nuova epoca, ritrova in questo film la sua forma più smagliante delle prime commedie. Che dire di Proietti, il romanaccio perbene, icona infallibile e qui ben utilizzata. Sull’appeal di Brignano, decisamente meno trasversale, ci sarebbe da discutere, mentre la performance contenuta della Brilly, attrice simpatica alla quale però manca la veracità di una Ferilli, è perfetta per il ruolo. A uscire perdenti sono i giovani, sia gli interpreti che i personaggi: sulla corrispondenza nel reale, ahimè, di certe immagini fin troppo veritiere, ci sarebbe da stendere un trattato sociologico, e i registi cedono al familismo proponendo la nipote Virginie Masan, intollerabile persino nel ruolo di antipatica.

In ogni caso, un esercito di “bravi” a raccontare, pur con leggerezza, l’Italietta di oggi: sovvenzioni ai partiti, intercettazioni telefoniche, “bamboccioni”, tradimenti, mettendo al bando, con soddisfazione di tutta la critica per una volta unanime, qualsiasi volgarità, merito dell’esperienza dei Vanzina, “colpevoli” nel 1983 di aver dato vita all’ora mesto filone dei cinepanettoni, ma per i primissimi anni film allegri ad autenticamente spassosi. La morale facile serpeggiante, un po’ stucchevole nell’happy ending a dir poco da fiaba, costringe a smorzare gli entusiasmi, ma senza dubbio il film induce in tentazione anche chi di solito non è facile alla risata.

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