Apocalisse kitsch-pop, tra zombie e angeli condottieri
Da un professionista degli effetti speciali come Scott Stewart non ci si poteva aspettare che un roboante e barocco incatenarsi di computer grafica e visual effects per un film d’esordio che incrocia horror e action movie. A dare coerenza e affidabilità a un film che altrimenti potrebbe ben allinearsi a un classico B-movie ci sono attori del calibro di Paul Bettany – ormai più volte preso in prestito per parti legate alla sfera religiosa, vedi Il codice Da Vinci (Ron Howard, 2006) – il vissuto e rugoso Dennis Quaid e il Charles S. Dutton di Alien 3 (David Fincher, 1992). Il fascino dimesso di Adrianne Palicki, nella parte della cameriera Charlie che porta in grembo il nuovo Messia tra un tiro di sigaretta e l’altro, fa il resto. Eppure si rimane sempre entro i confini di un film che copia molto, in quanto a situazioni e immaginario, da altri – vedi L’alba dei morti viventi (Zack Snyder, 2004), Feast (Johnn Gulager, 2005), 28 giorni dopo (Danny Boyle, 2002), Tremors (Ron Underwood, 1990) e Terminator (James Cameron, 1984) per citarne solo “alcuni” – insomma, un film di cui avremmo fatto benissimo a meno.
La storia, che inizia in città con l’atterraggio violento sulla terra dell’angelo ribelle Michele – comandante disertore dell’esercito divino, a cui è stato ordinato di distruggere la derelitta razza umana – si sposta poi lungo la Route 66 o giù di lì, fino ad approdare alla sperduta e impolverata stazione di servizio dall’emblematico nome di Paradise Falls. All’interno della tavola calda nel mezzo del deserto si ricrea un microcosmo della società, con i soliti avventori di passaggio che, causa guasto all’automobile o casuale sosta durante il viaggio, finiscono per entrare in empatia l’uno con l’altro o che, al contrario, diventano fonte di tensione con i loro litigi per motivi futili. Da questo momento in poi Paradise Falls diventa il set principale del film, il fulcro intorno a cui l’umanità, posseduta questa volta dalle forze celesti, si raduna, scoprendo i denti aguzzi e liberando l’istinto omicida: scopo finale, quello di uccidere l’inconsapevole madre del nuovo Messia. Fortuna che a chiarire le idee su ciò che sta accadendo e ad aiutare a combattere il nemico comune giunge proprio lui, l’arcangelo Michele, oppostosi al volere di Dio perchè sicuro che ci sia ancora un barlume di speranza per cui valga la pena difendere l’esistenza dell’uomo. La speranza gliela infonde il generoso e altruista Jeep, figlio del proprietario della stazione, che si dedica anima e corpo a una donna che porta in grembo il figlio di un altro (allusione a San Giuseppe?). Tra vecchiette che camminano sul soffitto come ragni, gelatai che aprono le fauci come le creature infettate di Io sono leggenda (Francis Lawrence, 2007) e scontri celesti a colpi di ali laminate, il bambino-Messia nascerà e Dio capirà, grazie a Michele, che non tutto è perduto.
La sceneggiatura non sarebbe poi così male, se fosse stata letta in modo differente. I dialoghi sono buoni, mai scontati e monosillabici, ma il kitsch fa da padrone quando vediamo uno dei due angeli (quello “caduto” e in seguito privatosi delle ali) armato di un arsenale di fucili, mitragliatrici e bazooka e l’altro che, invece, indossa l’armatura “celeste” dei condottieri romani, facendo roteare la sua pericolosa arma da gladiatore del nuovo millennio. Che dire, sembra che ai giorni d’oggi basti lo spauracchio della fine del mondo per costruirci attorno la trama di un film in bilico tra horror, western, thriller, fantasy e azione (film “d’assedio”, nello specifico). E pare anche che la religione sia diventata ormai solo un pretesto per attirare le masse, un elemento da potere vestire dei panni più disparati e con cui giocare liberamente all’insegna della cultura pop. Dall’etereo Paul Bettany ci si potrebbe aspettare qualcosa di più “serio”, ma in fondo anche Legion ha una sua logica interna e una volta entrati in quella logica si finisce per prendere per buoni i tanti paradossi e le tante assurdità che il film ci intende propinare. Da vedere in tv in seconda serata, se si vuole tirare tardi nel tentativo di farsi soggiogare dal sonno.
Curiosità
Scott Stewart ha curato gli effetti speciali di diversi film di successo: Pirati dei Caraibi: ai confini del mondo (2007), Iron Man (2007), Grindhouse (2007), Una notte al museo (2006), Harry Potter e il calice di fuoco (2005), Sin City (2005), Jurassic Park (1997), Blade Runner Director’s Cut (1982).
A cura di Valentina Vantellini
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