hideout

cultura dell'immagine e della parola

L’industria
del capello

L'industriadel capello

Forse lo conoscete per le comparsate nei film di Eddie Murphy, ma Chris Rock è uno dei migliori comici viventi. Figlio di un’insegnante di sostegno e di un fattorino, dopo una carriera lunga e non sempre generosa il ragazzino nero di Brooklyn è passato dallo sgusciare gamberi a uccidere nei suoi speciali HBO, vincendo Emmy su Emmy. Il meritato rispetto gli viene, oltre che dall’enfasi da predicatore e dal tempismo impeccabile, anche da una formula comica unica. Lo sguardo di Rock è lucido, e la sua presa sul linguaggio e sulla struttura delle cose gli permette di riflettere criticamente sulla cultura afroamericana utilizzando gli stereotipi culturali come strumenti di studio, invece che come facili armi a doppio taglio. Lanciato al Sundance 2009, Good Hair non è il suo primo approccio al cinema, ma forse è il film che più si avvicina – pur nella sua forma documentaristica – alla sua intelligenza comica. Il tema di partenza è un deja-vu per i fan che si ricordano il suo primo comedy album, Born Suspect: l’ossessione delle donne nere per i cosiddetti “capelli buoni”. Quelli, cioè, delle donne bianche.

Magari non ci si fa caso, ma quando vediamo personalità nere influenti come Michelle Obama e Oprah Winfrey ci scordiamo che i loro capelli lisci e ben curati non sono cresciuti così dalla loro testa, ma sono il risultato di lunghi, dolorosi e costosi trattamenti di rilassamento, extension e styling. Questo perchè una donna nera non può aspettarsi di essere presa sul serio in un mondo dominato da maschi bianchi, e dalla studentessa appena laureata che va a un colloquio di lavoro alla moglie di Obama nessuna si può permettere un cespuglione afro (persino il reverendo ed attivista Al Sharpton si rilassa i capelli prima di parlare col presidente). Il perno logistico del film è il gigantesco Bronner Brothers Hair Show di Atlanta, vero e proprio centro di gravità dell’industria del capello nero negli Usa. Lì si vende di tutto, dalle creme rilassanti alle extension di capelli umani, ma l’evento top sono le esibizioni live che decidono i migliori esperti domatori del crespo. A parte i doverosi dettagli folkoristici, comunque, Good Hair smonta pezzo per pezzo un’industria prolifica e globale, spingendosi fino ai templi indiani dove i capelli vengono venduti dopo le rasature rituali per poi essere distributi, fino ai barbershop dei quartieri statunitensi. Per raccontare lo stile e le contraddizioni dei capelli buoni, il comico intervista un po’ chiunque, da professionisti ad attrici come Nia Long, passando pure per il già citato Sharpton e il rapper Ice-T.

Come nella sua stand-up, Rock non si scorda le questioni strutturali ed economiche che stanno dietro al quotidiano, svelandoci un’industria dominata da bianchi e asiatici piuttosto che produttiva per la comunità nera. Good Hair è una visione imprescindibile per avere un’idea della violenza silenziosa e quotidiana che ogni giorno l’establishment statunitense applica su una delle più antiche e controverse minoranze presenti sul suo suolo, ma anche della vitalità e creatività che nonostante tutto ne scaturiscono, trasformando un mezzo di oppressione in uno di espressione.

Non c'è ancora nessun commento.

Lascia un commento!

L’industria
del capello

L'industriadel capello

Forse lo conoscete per le comparsate nei film di Eddie Murphy, ma Chris Rock è uno dei migliori comici viventi. Figlio di un’insegnante di sostegno e di un fattorino, dopo una carriera lunga e non sempre generosa il ragazzino nero di Brooklyn è passato dallo sgusciare gamberi a uccidere nei suoi speciali HBO, vincendo Emmy su Emmy. Il meritato rispetto gli viene, oltre che dall’enfasi da predicatore e dal tempismo impeccabile, anche da una formula comica unica. Lo sguardo di Rock è lucido, e la sua presa sul linguaggio e sulla struttura delle cose gli permette di riflettere criticamente sulla cultura afroamericana utilizzando gli stereotipi culturali come strumenti di studio, invece che come facili armi a doppio taglio. Lanciato al Sundance 2009, Good Hair non è il suo primo approccio al cinema, ma forse è il film che più si avvicina – pur nella sua forma documentaristica – alla sua intelligenza comica. Il tema di partenza è un deja-vu per i fan che si ricordano il suo primo comedy album, Born Suspect: l’ossessione delle donne nere per i cosiddetti “capelli buoni”. Quelli, cioè, delle donne bianche.

Magari non ci si fa caso, ma quando vediamo personalità nere influenti come Michelle Obama e Oprah Winfrey ci scordiamo che i loro capelli lisci e ben curati non sono cresciuti così dalla loro testa, ma sono il risultato di lunghi, dolorosi e costosi trattamenti di rilassamento, extension e styling. Questo perchè una donna nera non può aspettarsi di essere presa sul serio in un mondo dominato da maschi bianchi, e dalla studentessa appena laureata che va a un colloquio di lavoro alla moglie di Obama nessuna si può permettere un cespuglione afro (persino il reverendo ed attivista Al Sharpton si rilassa i capelli prima di parlare col presidente). Il perno logistico del film è il gigantesco Bronner Brothers Hair Show di Atlanta, vero e proprio centro di gravità dell’industria del capello nero negli Usa. Lì si vende di tutto, dalle creme rilassanti alle extension di capelli umani, ma l’evento top sono le esibizioni live che decidono i migliori esperti domatori del crespo. A parte i doverosi dettagli folkoristici, comunque, Good Hair smonta pezzo per pezzo un’industria prolifica e globale, spingendosi fino ai templi indiani dove i capelli vengono venduti dopo le rasature rituali per poi essere distributi, fino ai barbershop dei quartieri statunitensi. Per raccontare lo stile e le contraddizioni dei capelli buoni, il comico intervista un po’ chiunque, da professionisti ad attrici come Nia Long, passando pure per il già citato Sharpton e il rapper Ice-T.

Come nella sua stand-up, Rock non si scorda le questioni strutturali ed economiche che stanno dietro al quotidiano, svelandoci un’industria dominata da bianchi e asiatici piuttosto che produttiva per la comunità nera. Good Hair è una visione imprescindibile per avere un’idea della violenza silenziosa e quotidiana che ogni giorno l’establishment statunitense applica su una delle più antiche e controverse minoranze presenti sul suo suolo, ma anche della vitalità e creatività che nonostante tutto ne scaturiscono, trasformando un mezzo di oppressione in uno di espressione.

Non c'è ancora nessun commento.

Lascia un commento!

«

»