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Romanticismo senza amore

Romanticismo senza amore

I registi di videoclip sono tipi strani. Abituati a potersi esprimere liberamente nel loro mondo da quattro minuti, si gettano poi a capofitto nel lungometraggio cercando di rivoluzionarne i canoni. C’è chi ci riesce al primo colpo (Spike Jonze e Michel Gondry), chi ci prova da dieci anni ma non ci riesce proprio (Chris Cunningham), chi finisce per “normalizzarsi” (Jonas Akerlund). Marc Webb appartiene decisamente alla prima categoria, perché il suo (500) giorni insieme è indubbiamente una delle più efficaci commedie romantiche dell’ultimo decennio.

Attenzione però. L’incipit del film sottolinea come questa “non è una storia d’amore”. Webb infatti, insieme ai due sceneggiatori esordienti, si è voluto distanziare dagli stereotipi del genere: quella che vuole raccontare è la storia di un anno e mezzo di vita trascorso da un ragazzo insieme a una ragazza, con tutto ciò che questo comporta. Il primo elemento innovativo è proprio il punto di vista, che è totalmente maschile. Siamo abituati a storie d’amore raccontate tramite dialoghi lui/lei, oppure spesso, soprattutto negli ultimi anni, dal punto di vista della donna (da Amélie fino a Sex and the City). Questa volta è l’uomo al centro della storia, ma lo script non cade mai in facili maschilismi, proprio perché in realtà l’elemento dominante della coppia è quello femminile. Il ribaltamento dei ruoli è al tempo stesso spiazzante e coinvolgente. Ma a spiazzare ancor di più è il modello narrativo. Se ci pensiamo bene, quando proviamo a ricordare un nostro vecchio rapporto di coppia, difficilmente lo ripercorriamo in ordine cronologico: verranno alla mente elementi sparsi, che alla fine formeranno il quadro complessivo. Allo stesso modo fa questo film, che racconta i cinquecento giorni del titolo nell’ordine che vuole dare il protagonista, che non è temporale, ma piuttosto funzionale al percorso che condurrà alla fine del film stesso. Si può quasi parlare di una sorta di Io e Annie riletto dopo aver visto Memento.

Forse qua e là c’è qualche stereotipo di troppo (gli amici del protagonista, il karaoke liberatorio), ma realizzare un’opera prima perfetta è impossibile, se non ti chiami Orson Welles. Rimangono i paesaggi e le architetture di una Los Angeles inedita, le prese di coscienza struggenti del protagonista, gli sconcertanti occhi di Zooey Deschanel e una stupenda colonna sonora, che va dagli Smiths a Regina Spektor (cantante di cui Webb ha diretto alcuni videoclip).

Curiosità
Per una volta giustifichiamo la traduzione italiana dell’originale (500) Days of Summer. Dopo aver visto la fine del film, si capisce infatti il cambiamento del nome della protagonista da Summer a Sole (Estate era effettivamente improponibile), e quindi l’obbigata modifica del titolo.

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