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Il coraggio non basta

Il coraggio non basta

Tanto rumore per nulla. Nonostante una certa curiosità, alimentata da quasi due mesi di polemiche (con la pagina degli spettacoli che spesso scivolava spesso nelle veline politiche) il nuovo film di Renato De Maria tradisce tutte le aspettative. Dei suoi sostenitori, ma probabilmente anche dei suoi detrattori. Il film si ispira al romanzo di vita dell’ex terrorista rosso Sergio Segio, Miccia corta, e cerca di ripercorrere la vera storia dell’organizzazione terroristica Prima Linea, (una delle più estreme ali rivoluzionarie dell’universo eversivo italiano degli anni Settanta) soffermandosi proprio sulla vicenda personale di Segio (Riccardo Scamarcio) nel momento in cui decide di passare “dalla forza della ragione alla ragione della forza”. Nel suo percorso di militanza clandestina Sergio incontra Susanna Ronconi (Giovanna Mezzogiorno), anch’essa convinta e determinata militante di Prima Linea. Nasce un rapporto sentimentale (privato) che si scontra con il ruolo di una coppia “avanguardia delle masse” (pubblico), con tutti gli annessi e connessi del caso.

Mixando le scene a immagini di repertorio di quegli anni, De Maria cerca di tenere tutto il film dentro un’aurea cronologica, scandendo le scene con date e riferimenti storici, in un continuo salto temporale dal passato al futuro e viceversa, intrecciando ritmi, dialoghi e periodi narrativi. L’operazione, di se per sé ambiziosa, non riesce però a fotografare e a trasmettere in maniera soddisfacente il contesto storico di quegli anni. La sceneggiatura in particolare sembra prigioniera di vuoti narrativi, e si percepisce come un precipizio l’assenza di un punto di partenza necessario: il racconto della genesi di una generazione, quella che prese parte alla lotta armata in Italia, che viene soltanto sfiorata, in uno dei tanti monologhi del protagonista. Iniziamo già “in prima linea” insomma, la seconda e la terza e i livelli di passaggio intermedi che porteranno al dramma rimangono fuori. De Maria sacrifica anche il racconto delle passioni politiche, individuali e collettive di quegli anni, preferendo uno stile registico distaccato e un’atmosfera fredda e asettica, quasi a sottolineare “la disumanità” che la macchina terroristica obbligava a far accettare ai suoi adepti, costretti a vivere da “clandestini” e respingendo gli affetti più cari (familiari ed amici). Tuttavia è proprio qui che De Maria calca troppo la mano, e nonostante le intenzioni siano proprio quelle di “infreddolire” il pubblico, alla lunga questa glacialità dei gesti e dei sentimenti costituisce proprio il punto più debole del film, la sua inconsistenza più colpevole. Se in più ci aggiungiamo il romanticismo di un amore alla Bonnie & Clyde (con uno Scamarcio che nonostante i tentativi non riesce a liberarsi della sua aria di “bello e tenebroso”), il film di De Maria sembra precipitare davvero in una ripresa cinematografica puramente didascalica, condita da qualche conflitto esistenziale e nulla più. Perfino la sua declinazione più aspra in “film di genere”, De Maria non riesce a convincere: anche nelle sue scene più volutamente “spietate” il suo film sembra figlio di uno stile da fiction televisiva.

La prima linea appare decisamente come un’occasione mancata, ben lontana da altri lavori molto più evocativi (Buongiorno, notte di Bellocchio o lo stesso Arrivederci amore, ciao di Soavi). De Maria osa avventurarsi in un tema ancora equivocabile per l’italiano medio, ma al contempo tiene troppo le distanze, forse proprio per non volersi spingere dentro un campo ancora minato. Resta un’opera che non riesce a trasmettere il dramma di una generazione, ma preferisce “chiuderla in frigorifero” in modo sbrigativo e lapidario. Un’operazione troppo artificiosa per un paese che, ancora oggi, non riesce a elaborare in modo definitivo quel tragico capitolo della nostra storia più recente.

Curiosità
Dopo le polemiche antecedenti l’uscita nelle sale, la società di produzione e distribuzione cinematografica Lucky Red, ha rinunciato ai finanziamenti statali per il film.

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