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Distruzione senza cuore

Distruzione senza cuore

2012… tentati omicidi di Alessandra Cavazzi ****

Secondo il calendario Maya, dicembre 2012 è l’anno della fine del mondo: una serie di tsunami, terremoti e uragani provocheranno la morte del pianeta e francamente già da ora la morte sembra il risultato dei tanti sforzi dei registi nei confronti dei loro spettatori. Ecco l’ennesimo disaster movie di Roland Emmerich dopo Indipendence Day e The Day After Tomorrow. Come è scontato pensarlo, il film ha inizio nel nostro anno, il 2009, con una previsione di un’equipe di scienziati impegnata a studiare le tempeste solari che dovrebbero provocare in breve un catastrofico surriscaldamento del nucleo della terra. La scena si sposta all’anno 2010 con le potenze mondiali che si organizzano perché i vertici politici principali, scienziati e quanto altro, riescano a sopravvivere al disastro imminente mediante la costruzione, in Cina, di colossali scialuppe di salvataggio, delle tecnologiche arche di Noè. E poi finalmente si arriva al 2012, nella west coast degli Stati Uniti dove ha inizio la vera e propria trama: uno scrittore divorziato che accompagna al parco i suoi figli. La fuga per la sopravvivenza è in corso.

L’intreccio è quello tipico di un disaster movie. Inizialmente diverse storie si incrociano in un procedere parallelo per poi collassare in un polverone unico: la fuga, le storie d’amore melense, la lotta degli uni contro gli altri per arraffarsi il posto sull’arca e l’epilogo che come happy ending da fiaba è azzeccatissimo. Sembra che Emmerich abbia archiviato il tentativo di stupire con effetti speciali o forse si è fatto prendere la mano e ne ha inseriti fin troppi, con il risultato che molti di questi risultano iperbole comiche di un parossismo. La cupola della Basilica di San Pietro a Roma che intatta rotola verso di noi è tecnicamente una eventualità assurda; l’attrezzo che blocca addirittura la porta dell’arca, estratto per mano di un uomo è ridicolmente piccolo da arrivare ad inceppare cotanta potente apertura; la terra che crepa e sprofonda sotto i piedi dei protagonisti è un leit motiv che si ripete più volte nell’arco di buona parte del film, ma dopo il primo exploit davanti ai surfisti e al supermercato, lo spettatore francamente ne ha abbastanza dell’effetto “tremors”. Uniche chicche: l’ondata di acqua che ricopre i poveri malcapitati che si dimenano per entrare nell’arca sembra avvolgere anche noi grazie al trucco della cinepresa a spalla; così come la fuga della famigliola californiana in macchina è simile ad un inseguimento da videogioco. Infelici i proponimenti propangadistici delle nazioni del mondo che, di fronte alla scelta, salviamoci in pochi o tutti, scelgono di salvare “tutti” in nome della democrazia e dell’uguaglianza. Si sprecano le frasi di effetto come “quando smettiamo di lottare l’uno per l’altra in quel momento smettiamo di lottare per la nostra umanità” o, quando (Emmerich perlomeno ammette di farlo con ironia) per bocca della finta Angela Merkel, fa dichiarare al presidente del governo Italiano che “preferisce rimanere con i suoi cittadini fino all’ultimo piuttosto che scappare”. Questa è fonte di ilarità nello stesso regista, oltre che in sala…

A questo punto direi che abbiamo raggiunto il collasso anche in questo genere di film. Forse varrebbe la pena di inventarsene un altro o riappropriarsi di un buon vecchio film anni cinquanta come L’invasione degli ultracorpi e lavorare sugli effetti emotivi che questo esercitava. Forse sarebbe utile cercare di essere più originali nella trama piuttosto che sugli effetti speciali, visto che oramai per questi ultimi si è già detto abbastanza e forse anche troppo.

Duri a morire di Valentina Vantellini ******

Verrebbe da dire che 2012 sia un’americanata, se non fosse per il fatto che il prolifico regista Roland Emmerich è tedesco (e di lungometraggi di questo stampo ne ha fatti molti). Mix di generi – azione, dramma, fantascienza, commedia, inglobati nella devastante architettura del film catastrofico – 2012 è l’ennesimo film con costi di produzione stratosferici che soddisfa sicuramente l’amante degli effetti speciali, di nuovo adoperati con profitto per distruggere il nostro pianeta dopo The Day After Tomorrow – L’alba del giorno dopo. E il botteghino italiano, dopo neanche una settimana dall’uscita, conferma ampiamente l’apprezzamento del pubblico. Pardon: una “certa” parte di pubblico. Ed è presto detto il perché. Traendo spunto dalle credenze new age sul calendario Maya e dalle ipotesi apocalittiche legate a ricorrenze astronomiche, Emmerich confeziona, infatti, insieme ad Harald Kloser uno spec script aderente al genere “apocalittico” al cento per cento e, proprio per questo, già visto e stravisto.

Protagonista della vicenda è una famiglia di Los Angeles, con genitori divorziati, ma in fondo segretamente innamorati, come va di moda al cinema. John Cusack veste ancora i panni di scrittore squattrinato, dopo 1408 (Mikael Håfström, 2007), che lo vedeva protagonista di una terrificante esperienza paranormale. Il topos del conflitto padre/figlio si ripete qui inutilmente e si concretizza nell’incarnazione di un patrigno simpatico e poco invadente. Il film è popolato, naturalmente, da innumerevoli personaggi secondari, slegati tra di loro, ma partecipi tutti di uno stesso destino e perciò uniti nell’essere veicolo, ciascuno, di emozioni e reazioni diverse all’evento. La figura del profeta dee-jay radiofonico con qualche rotella fuori posto viene esagerata da Woody Harrelson, una Cassandra solitaria e hippy a cui solo il romanziere semi-sconosciuto riesce a dare ascolto. Ci sono gli scienziati altruisti e i politici cinici – ad esclusione, com’è ovvio, del presidente Usa, di colore (ma guarda un po’!), interpretato da Danny Glover. Il primo ministro italiano di Emmerich, invece, è talmente distante dal nostro, che lo spettatore nostrano stenta a identificarsi nei destini del popolo dello Stivale. Non solo. Il Vaticano, di comune accordo col governo, rimane a pregare sotto il crollo della cappella Sistina, senza cercare riparo. E così pure i fedeli. Ci sono il russo multimilionario e corrotto, con bionda al suo fianco e un’aitante autista alla Ivan Drago che gli ruba la donna; ci sono gli attempati cantanti, in conflitto con i figli ormai adulti, sulla nave da crociera stile Titanic e il monaco buddista che annuncia la catastrofe col suono di una campana sulla vetta di una montagna (scena utilizzata per il trailer). E ci sono persino una Cina sfruttata dalle grandi potenze per la costruzione delle “navi spaziali” (ovvio, la manodopera costa poco) e un’India che genera menti geniali, ma è troppo povera per emergere sul piano internazionale. Un’accozzaglia, quindi, di luoghi comuni reali e stereotipi tipici di una certa fiction.

Quando il “terremoto” sta per annientare Los Angeles, la pellicola diventa action movie, con Cusack & Co. trasformati in novelli e impacciati John McClane, che dribblano magicamente gli ostacoli (grattacieli, montagne, lingue di fuoco…) con volteggi aerei e sfidano il tempo e la natura con sgommate in limousine e camper. Le battute ironiche, vista la situazione, abbondano oltre misura e lo spettatore si sente più player di un videogame, che spettatore di una tragedia di portata mondiale. Purtroppo gli stilemi del genere si moltiplicano senza fine, senza portare con sé alcuna carica emotiva, tanto sono scontate le vicende umane descritte. Come se non bastasse, Emmerich dà una sfumatura positiva all’intera vicenda. Una soluzione la vede e il lieto fine è assicurato. Con buona pace di chi si attende un finale epico, tragico e allegorico insieme (le arche spaziali non aggiungono certo originalità e profondità alla vicenda e si rimpiange l’animo sognatore di Spielberg o quello cupo del Ridley Scott di Blade Runner). Insomma, godetevi le magie della computer graphics, perché 2012 non racconta nulla di nuovo e non vi lascerà niente nel cuore.

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