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La proboscide di Corona

La proboscide di Corona

Iniziamo con una premessa: Erik Gandini, italiano di nascita ma residente ormai da anni in Svezia, ha pensato Videocracy come un prodotto per il mercato europeo, e non strettamente italiano. È una premessa fondamentale perché un’italiano che vede questo film ed è minimamente informato sulla nazione in cui vive, esce dalla sala senza alcuna nuova informazione. Tutti sanno chi è Berlusconi, quanto siano assurdi personaggi come Mora o Corona e come esistano persone comuni che farebbero di tutto per apparire in tv. Per uno straniero, invece, può essere un’utile infarinatura su come sia questo mondo alieno che è l’Italia.

Gandini ha dimostrato nei suoi precedenti documentari quale sia il suo punto di forza: raccontare grandi storie attraverso interviste. L’ha fatto per criticare il capitalismo in Surplus e per parlare di Guantanamo in Gitmo. E lo fa bene anche all’inizio di Videocracy, quando lascia la parola a Riccardo, un operaio bergamasco che si crede un mix tra Jean Claude Van Damme e Ricky Martin e ha un obiettivo nella vita: entrare nel mondo dello spettacolo. Si ride amaro vedendolo cantare o sentendolo parlare dei suoi sogni. Poi però ci si aspetterebbe una maggiore analisi dei motivi per i quali si siano creati personaggi come Riccardo. Invece Gandini non approfondisce, ma procede per suggestioni. Partendo dal primo sexy show degli anni Settanta, non scrive una storia degli ultimi trent’anni di televisione, ma mostra qua e là vari aspetti della stessa, come il velinismo, il giro di tronisti nella villa di Lele Mora, e così via. Attorno al film, proprio da quel sistema mediatico che Videocracy vuole criticare, si era formata un’aspettativa di antiberlusconismo, realizzato attraverso la ricostruzione delle televisioni private. Così invece non è, perché il premier viene sì criticato, ma non è sicuramente al centro del film.

Protagonista di tutta la seconda parte è invece Fabrizio Corona. Lui stesso, dopo aver visto il film, ha dichiarato che Gandini è stato molto furbo, per avergli fatto credere che l’intervista avrebbe avuto un altro scopo. Questo è però chiaro dall’intervista stessa, perché non ci sono domande “cattive”, e Corona si presenta come un moderno Robin Hood (che ruba ai ricchi per dare a se stesso), idolatrato dalle folle e con una enorme proboscide sotto la doccia. Sicuri che un ragazzino, guardando Videocracy, non possa finire per mal interpretarne il significato e voler diventare un giovane Corona?

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