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cultura dell'immagine e della parola

Aspetta e spera
Venezia – 3 settembre

Viggo Mortensen durante la conferenza stampa di The RoadLuogo affascinante la sala conferenze. Qui è particolarmente divertente il gioco delle somiglianze. Caso vuole che da anni, in sala stampa, mischiato tra le guardie (che poi come si chiamano “loro” in divisa, steward e hostess? Bah…) c’è il sosia di Dominc Purcell, il Lincoln Burrows fratello di Michael Scofield in Prison Break. Non mi fido a fotografarlo perché è grosso quanto l’originale e rischierei ripercussioni. Poi c’è sempre quello che è il primo a parlare. E poi c’è sempre quello che parla e che prima di fare la domanda, se la fa, costruisce una recensione di cui vuole avere conferme da registi e attori e poi mette un punto interrogativo in coda, giusto per rendere il tutto una cosa ascoltabile. Poi c’è chi spera sempre di estrapolare ai registi o agli attori qualche confessione intima, qualche seduta psicanalitica, E a volte, come nel caso di Solondz (molto divertente il suo film, Life During Wartime), la pesca è vana. A proposito di sosia, oggi, durante la conferenza stampa di The Road di Hillcoat, Viggo Mortesen, sembrava Josh Holloway, Sawyer di Lost.

Certamente finora ho visto film interessanti. L’egiziano Schahrazad, Tell Me a Story, di Yousry Nasrallah, non arriverà mai in Italia (spero di sbagliarmi) ed è un peccato. Il film è interessante perché spiazza lo spettatore, prima incanalato verso una direzione specifica, poi disorientato con obliqui punti di vista, infine risistemato al suo posto con evidente imbarazzo e smarrimento. E pensare che Nashrallah è uno dei più importanti cineasti egiziani (non ho mai visto un suoi film, ma, a questo punto, mi piacerebbe). Anche Barking Water di Sterlin Harjo non arriverà mai in Italia ma è curioso nel suo sperimentare e indagare i ricordi, ma questo, comunque, non lo rende indimenticabile.
L’umanità dei film di Hillcoat e Solondz, è evidente che pur partendo da esperienze diverse e nonostante attingano da diversi pozzi d’ispirazione i due registi vogliano rappresentare diverse forme di umanità, riflette in qualche modo una certa attenzione cinematografica nei confronti delle relazioni profonde e vere, come quelle familiari, ma non solo, causa scatenante e soggetto attivo nei film visti finora (ad eccezione di Rec [2]). Sembra suggerirci un ritorno al necessario, all’imprescindibile. Al vero.
La disperazione di The Road e il cinismo di Life During Wartime, convergono e si sfiorano con un’idea di sopravvivenza che sfiora il pessimismo e la delusione più cocente. Citando Nashrallah, continuo a chiedermi se i due film siano più sociali o più politici. Ma c’è una risposta?

In compenso mi diverto molto poco quando mi rendo conto che con le lingue (anzi, con l’inglese e basta) sopravvivo e basta. Se ne deve essere accorto pure il mio compagno di stanza francese. Viggo Mortesen, nato a New York, di madre statunitense e padre danese, durante la conferenza stampa ha risposto in inglese e spagnolo, ha ricordato che ha recitato in russo, che preferisce non parlare in danese e che non conosce il norvegese ma che se vuole lo impara. Audace.
Mi aspetto e spero che Desert Flower di Sherry Hormann non mi deluda. E mi aspetto che Lourdes, di Jessica Hausner, proprio perché inserito nel concorso ufficiale, non sia banale. Illuso?

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