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Un inno alle donne

Un inno alle donne

Il film Le 13 rose delude e gratifica. Delude nella prima metà, corale, ma disorganica, in cui molteplici vite si intrecciano attorno al filo rosso della tanto coraggiosa, quanto disorganizzata e ingenua difesa della libertà di pensiero e di azione, identificata nei valori socialisti. Gratifica con una seconda parte che lo trasforma in un toccante inno alle donne del titolo, protagoniste di una tragica e assurda teatralizzazione della morte. È un inno che si estende, per omologia, a tutto l’universo femminile, ben disposto ad assorbire le emozioni di quelle donne attraverso i volti straordinariamente espressivi delle giovani e belle attrici (tra cui l’italiana “di esportazione” Gabriella Pession), dotate di una non comune sensibilità interpretativa.

La pellicola si innalza, così, a memoria delle vittime del regime, senza esporsi al rischio di una deriva politica e didattica, rimanendo, in fondo, super partes, proprio in quanto si pone come priorità quella di materializzare e rendere giustizia al ricordo di ragazze “qualunque”, prima che militanti socialiste del circolo “Aida Lafuente” da cui, si presume, derivi l’appellativo di “rose”, visto che quest’ultima, diciottenne rivoluzionaria caduta in trincea durante la guerra civile, fu soprannominata la “Rosa Rossa delle Asturie”. Pochi e simbolici elementi storici, quindi, in questa pellicola che riunisce, come in un buon sceneggiato televisivo, un cast numeroso di professionisti, con eccellenti prove di recitazione (tranne qualche eccezione nostrana, vedi Enrico Lo Verso); numerose storie verticali, appena accennate, visto il limite temporale del prodotto cinematografico; scenografia e costumi impeccabili e accurati. Un po’ troppa superficialità e confusione, invece, nella contestualizzazione del periodo storico, che non fa certo comodo ai profani della guerra civile spagnola, spaesati in un primo atto che vuole dire tanto omettendo troppo e risultando, perciò, poco chiaro, poco appassionante e poco armonico. È con la riunione delle ragazze nel sovraffollato carcere femminile di Ventas che il film dà il meglio di sé, a partire dalla rappresentazione della sincera solidarietà che unisce le donne, livellate sul piano sociale e politico (tra le vittime, anche una donna della destra cattolica) e costrette, in una sorta di campo di concentramento confinante col cimitero in cui si eseguono le fucilazioni, a imbastire un mondo parallelo, ove l’amicizia e la gioia di vivere e di esprimere i propri ideali trovano espressione in scherzi, balli e canzoni intonate liberamente – in contrasto con la forzata (ma melodica) Cara al Sol falangista imposta dalla direzione del carcere in apertura di giornata.

L’insolita inquadratura dall’alto, raffigurante l’atto di protesta contro la condanna delle compagne, stravolge la grammatica filmica, esprimendo, anche sul piano extra-diegetico, la rivolta verso una pena inaccettabile e ingiustificata; la carrellata stretta sulle mani delle condannate, schierate per l’esecuzione, nell’atto di stringersi l’una con l’altra, suggella, nel momento estremo, la fondamentale affinità tra l’atea e la credente, la comunista e la conservatrice, mostrando la donna nella sua essenza più profonda. Il regista riesce a mettere d’accordo tutti anche in chiusura, facendo vibrare le corde del cuore con il cartello che attesta l’autenticità storica dei fatti e delle testimonianze scritte (vedi le lettere dal carcere ai familiari) riportati nel film. Un metodo ad effetto, sbrigativo e poco raffinato, che ottiene facilmente la reazione desiderata. Nelle 13 rose convivono due film – sopportate il primo, per accedere al secondo, meritevole di essere visto almeno per le coinvolgenti interpretazioni delle cinque attrici protagoniste.

Curiosità
Il film, uscito in Spagna nel 2007 e accolto tiepidamente dal pubblico e dalla critica, ai Goya Awards si è comunque guadagnato 14 nomination, quattro delle quali si sono concretizzate nei premi per miglior fotografia, costumi, musica originale e attore non protagonista (José Manuel).

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