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cultura dell'immagine e della parola

Aspetta e spera
Venezia – 2 settembre

Manuela Velasco, dal film Rec 2Sulla spiaggia assolata e accaldata della Versilia, pochi giorni fa, mi son trovato a leggere, in graziosa compagnia, un libro che sapeva di antico. Anzi puzzava di vecchio, era polveroso, nonostante la plastica che lo avvolgeva, ed era umido, come, penso, la cantina o libreria o scatola che lo conservava. Si trattava di un libro pubblicato dalla Biennale nel 1985 in occasione di una sorta di tributo a Walt Disney. Sulla copertina c’era il faccione colorato di Mickey Mouse e, più in piccolo, più defilati, Pippo, Paperino, Zio Paperone, Minnie, forse anche Clarabella e Nonna Papera. Un libro per un evento speciale e gratuito (ai tempi si usava così, oggi per il catalogo ufficiale della Mostra ci vogliono “solo” 22 euro) che raccoglieva i saggi di alcuni giovani (ai tempi) esperti del mestiere. Tanta storia, tante curiosità, ma soprattutto il libro insisteva sull’idea di un cinema in grado di coniugare divertimento e intrattenimento. Creare il diverso e sapere godere di tale spettacolo. Marchio indelebile di Disney.

L’evento clamoroso della Mostra numero 66 è senza dubbio il Leone d’oro alla carriera alla Pixar, consegnato a John Lasseter e compagni da George Lucas che proprio nel 1985, con Spielberg, stava cercando di far interpretare a Michael Jackson il ruolo di Peter Pan. Un evento clamoroso che segue coerentemente la politica della fantasia in fatto di Leoni d’Oro, dopo quelli consegnati a Miyazaki (che fa uscire Totoro a ottobre) e dopo Burton (che sta terminando Alice, toh! che caso…), e che si permette addirittura di spalmarsi su due giorni (domenica 6 e lunedì 7) per dare ampio spazio a curiosi e appassionati di scoprire in anteprima il 3D dei due Toy Story, le prime immagini di La principessa e il ranocchio, la revisione di The Incredibles e di Finding Nemo e pure la visione (inaspettata) di Up. Si, proprio Up, quello che ha aperto l’ultimo Cannes e ha fatto commuovere tutti. Ma cosa c’è dietro la scelta di presentare a Venezia il film che ha aperto Cannes? Sembra un po’ minestra riscaldata… Mi aspetto, e spero, che le parole, significative e ispirate, di Muller «il cinema deve far muovere, deve dare forma» prendano forma, si concretizzino quindi in visioni cariche di senso, immaginazione, sentimento e passione. Da qualsiasi punto lo si voglia guardare il cinema, e penso anche un festival, deve suggerire questo. E come sottolineava quel saggio prezioso, di quel libro umido, su quella spiaggia assolata, il cinema deve riuscire ad intrattenere e divertire. Divertire, cioè distrarre l’animo ma anche allontanarsi, prendere un’altra direzione. Per andare avanti.

Mi aspetto “cose” (definizione di cose: qualcosa che ti fa tenere gli occhi aperti e un motivo per cui tornare a casa a raccontare) da Solondz, Hillcoat, Akin, Maoz, Neshat, Maher. In compenso, Rec [2] mi ha divertito (non ho visto il primo ma mi ha fatto voglia di vederlo) e il primo film in concorso, Baarìa di Tornatore, mi ha divertito molto. Non mi ha divertito la tipa dietro di me che ha detto:«sto film non ha detto niente» e mi sono chiesto che film avesse visto. Non mi hanno divertito due tizi di Bagheria che dopo il film hanno detto «troppo carne al fuoco». Bhé, insomma, Tornatore ha raccontato quasi un secolo della storia di un paese. Difficile essere troppo sintetici.

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