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Voglio fare cose cattive con te

A differenza di quello che succede nella nostra estate televisiva, fatta di repliche e galà di premi sconosciuti, oltreoceano si osa e si programma. Tra le messe in onda più sorprendenti per noi italiani, c’è senza dubbio la trasmissione della seconda stagione di True Blood, uno dei grandi successi dello scorso autunno televisivo americano. Ebbene si, da noi Fox, su Sky, ha appena finito la prima stagione, mentre gli spettatori statunitensi si stanno per godere il finale della seconda.

La serie, sconvolgente e appassionante, ha per protagonisti Bill il vampiro (Stephen Moyer) e Sookie la ragazza che legge nel pensiero (Anna Paquin). I due si innamorano pazzamente, nonostante un mondo ostile e pieno di violenza. No, Twilight non c’entra niente, non è affatto un prodotto adatta alle ragazzine o agli stomaci deboli. Qui c’è sangue, tanto sangue, carne, fanatismo religioso, violenza e puro istinto sessuale. Altro che Twilight, appunto. Qui il sesso lo si fa eccome. E lo fanno tutti: uomini con donne, uomini con uomini, vampiri con umani e umani con mutaforma. Eppure, nonostante l’ostentata (e forse eccessiva) carnalità, un’analisi della serie non si può limitare alla trita questione circa quello che la televisione può o potrebbe mostrare. Le tematiche affrontate, infatti, sono tutt’altro che banali. Sebbene la seconda stagione sia leggermente sottotono rispetto alla prima, anch’essa scava a fondo nell’inconscio dei protagonisti e ci mostra impietosamente i più basic degli instinct umani: fame e paura. Fame di cibo, paura dell’ignoto, fame di sesso, paura della morte, fame e paura di amare.

True Blood è tratto dalla serie di romanzi della Saga di Sookie Stackhouse di Charlaine Harris (editi in Italia da Fazi Editore) e ideato da Alan Ball, che già ci aveva regalato Six Feet Under. La prima stagione ha un inizio un po’ lento, ma già al terzo episodio dà più assuefazione del V, la droga fatta con il sangue di vampiro inventata dalla stessa Harris. Non fatevi dunque trarre in inganno se all’inizio non siete convinti, tenete duro e andate avanti. E se proprio non riusciste a capire il mood della serie, allora osservate attentamente i titoli di testa. Siamo nel sud degli Stati Uniti, in Louisiana, dove tradizioni pagane e fanatismo cristiano si fondono a razzismo e ignoranza e dove i vampiri sono usciti allo scoperto perché è stato inventato un sangue sintetico che permette loro di nutrirsi senza uccidere. Suono e immagini ci trascinano in questo mondo grazie alla canzone Bad Things di Jace Everett, giovane cantante country, che canta “voglio fare cose cattive con te” mentre assistiamo ad un montaggio straordinario con donne che pregano, ragazze svestite che ballano, serpenti che cacciano, carcasse di animali in putrefazione, bar promiscui e bambini che mangiano fragole. Insomma, un trattato sulle contraddizioni della società americana, così avanzata, ma anche così retrograda forse perché si è evoluta combattendo la “fame” con la “paura”. Una risposta efficace a chi dice che le “sigle” non servono a niente, una risposta efficace a chi pensa che le serie tv siano ancora robaccia di serie b fatte da chi fa… cose cattive.

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