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cultura dell'immagine e della parola

Festival di Locarno ’09
Diario, 10 agosto

Alcuni dei protagonisti di Kill the RefereeI primi bilanci e un’invasione di arbitri di Sara Sagrati

A una settimana dal fischio d’inizio, al Festival del Film di Locarno è già ora di fare qualche bilancio. Il tempo è stato abbastanza clemente donando piu’ sole che pioggia, anche se le proiezioni all’aperto sono state bagnate per ben due volte. Per quanto riguarda i film va detto che quest’anno non ci sono stati ancora grandi colpi al cuore. Il programma della sezione Piazza Grande, quello piu’ adatto al grande pubblico, non ha ancora trovato il suo Le Vite degli Altri, che qui vinse due anni fa, ad eccezion fatta per (500) days of Summer, che a distanza di una settimana continua ad essere il favorito alla vittoria.

Discorso non troppo diverso per i film del concorso ufficiale che risultano, perdonate il termine, faticosi: storie rarefatte, spesso al limite dell’incomprensibile, personaggi difficili e grandi tormenti. Diverso L’Insurgèe (La ribelle) con Michel Piccoli, che è forse l’unico a rientrare nei canoni del cinema classico. Fino ad oggi, il favorito alla vittoria sembrava il giapponese Wakaranai. Oggi però i bookmaker puntano piu’ sull’iraniano Frontier Blues di Babak Jalali. Il film, coprodotto dall’italiana Ginevra Elkann, ha molte chance: prima di tutto racconta la frontiera e le contraddizioni di un paese in questo momento al centro della cronaca, e poi si tratta del classico lavoro da festival, con lunghe inquadrature fisse e personaggi in bilico tra fiaba e realtà. Inoltre, va anche tenuto in considerazione che Masahiro Kobayashi (Wakaranay) ha già vinto qui a Locarno solo due anni fa. Chissà se la giuria presieduta da Jean-Marie Blanchard, dove spicca la presenza dell’italiana Alba Rohrwacher, ne terrà conto. Comunque tutto puo’ ancora succedere e fino a sabato ne abbiamo ancora molto di cinema da vedere.

Intanto ieri il Festival è stato invaso dagli arbitri. Ebbene si, gli arbitri piu’ famosi d’Europa erano tutti qui per accompagnare l’interessante e divertente documentario Kill the Referee, che probabilmente in Italia uscirà con il titolo Gli arbitri, di Yves Hinant e Jean Libon. Un’occasione unica per sbirciare il dietro le quinte di una professione sempre più protagonista, che è stata filmata sul campo e nel privato durante gli Europei di calcio del 2008.Un documento interessante, divertente e a tratti commovente che sostiene fortemente la causa di un gioco del calcio più civile. “Volevo guardare laddove gli sguardi non si erano ancora posati, vivere il più vicino possibile ai loro dubbi, alle loro certezze e ai loro interrogativi in quanto uomini, e non solamente come arbitri” ha dichiarato il regista Jean Libon.Grazie a questo film, poi, ieri il Festival è stato invaso dai più famosi arbitri di calcio: Howard Webb (Inghilterra), Enrique Gonzalez Mejuto (Spagna), Roberto Rosetti (Italia), Peter Fröjdfeldt (Svezia), Massimo Busacca (Svizzera), Olegario Benquerença (Portogallo) nonché il mitico Pierluigi Collina. Inconsapevolmente, o forse no, più divi dei veri divi, sono stati coccolati e fotograti. Tante richieste di autografo e rincorse, sopratutto a Collina, per strappargli dichiarazioni sulla moviola in campo (ovviamente non rilasciate). Ma quello che più ti colpisce e accorgersi a tarda serata che tutti insieme, erano a cena fuori in un locale assolutamente anonimo a ridere e scherzare… chissà se stavano discutendo sul fuorigioco non segnalato all’Olanda contro l’Italia in semifinale.

Semplice e cruda metafora sociopolitica di Andrea Giordano

Il giorno di San Lorenzo e delle stelle cadenti, vissuto in Piazza Grande, ha un sapore particolare, quasi magico, come la serata Manga e il tributo a Yoshiyuki Tomino, che questa sera riceve il Pardo d’Oro alla carriera. E mentre la giornata ha visto alternarsi la pellicola franco – portoghese A religiosa portoguesa, diretta da Eugéne Green (che a Locarno aveva già ricevuto due anni fa, insieme a Pedro Costa e Harun Farocki, il Premio Speciale per Memories) e il film di Babak Jalali, Frontier Blues, molto interessante, sempre per il concorso internazionale, è stata la proiezione di Shirley Adams, produzione americana/sudafricana, diretta dal venticinquenne regista Oliver Hermanus.

Una storia dolorosa, ma anche di grande coraggio, che vede protagonista una madre, Shirley, interpretata dall’ottima Denise Newman (papabile per il premio di miglior attrice) e un figlio, Donovan, paralizzato per un proiettile vagante mentre faceva ritorno da scuola. Senza soldi (tanto che è costretta a rubare le medicine per il figlio), senza lavoro e senza marito (scappato via da poco), la donna vive alla giornata, sola, “viva” grazie alla propria forza di volontà, al proprio amore per il figlio. In aiuto compare anche una giovane psicoterapeuta, Tamsin, brillante e creativa, che cerca di aiutarli, senza però avere successo.

La depressione di Donovan è troppo forte, il dolore sempre più acuto. E mentre il processo per il ferimento del figlio sta per iniziare, la madre scopre che a sparare il proiettile fatale è stato addirittura il migliore amico del figlio. Distrutta, e tradita da un destino beffardo, Shirley non solo non riesce a risollevare il figlio, ma deve rassegnarsi, e sopportare poi, anche alla sua improvvisa morte in una vasca da bagno. Una storia semplice e cruda, metafora triste di un Paese pervaso dalla miseria e dalle tensioni razziali, una pellicola dalla tematica sociopolitica, ma che racconta soprattutto la storia di una donna, di una madre, e della sua lotta d’amore. A questo punto del concorso è un film sicuramente da tenere in considerazione.

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