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cultura dell'immagine e della parola

Il femminismo che viene dal Nord

Non si può parlare di Uomini che odiano le donne prescindendo dalla figura dell’autore. Stieg Larsson era un idealista, uno che non esitava a scendere in campo per difendere i propri principi. Mentre lavorava come giornalista presso la rivista antifascista Expo denunciò la presenza di gruppi neonazisti, rischiando più volte la vita. Durante la sua carriera di reporter Larsson ebbe ripetutamente a che fare con episodi di violenza a danni dei più deboli. Probabilmente è per questo che nella sua opera ha deciso di mettere in scena il riscatto della vittima nei confronti della ferocia umana, ambientando i suoi romanzi in un mondo che lui riteneva cupo ma non privo di speranza: la Svezia contemporanea. A colpire la sua sensibilità fu in particolare la misoginia che infestava diversi ambienti, sia quella considerata socialmente accettabile, sia la vera e propria brutalità verso il corpo femminile. Un episodio della sua gioventù contribuì in maniera particolare ad accrescere in lui l’indignazione nei confronti della tirannia maschile: assistette a uno stupro senza poter intervenire. Questa rabbia si riflette nella crudezza di certe descrizioni e nella caratterizzazione degli antagonisti: personaggi al limite ma non per questo inverosimili, specchio della depravazione a cui può spingersi l’essere umano. La critica alla società svedese, così perfetta esteriormente ma ricca di ombre all’interno, è sviluppata attraverso svariate tematiche: gli scandali finanziari, il deterioramento del lavoro giornalistico, l’odio razziale, la corruzione a qualsiasi livello gerarchico, la mancata tutela del cittadino da parte delle autorità.

Nel primo dei romanzi l’approccio è simile al giallo classico se non fosse per la vicenda parallela di Lisbeth. Salander. Lo scrittore ha messo al centro della storia una dark emarginata, una ragazza asociale e brusca ma dotata di un proprio codice morale. La riscossa degli umili si realizza attraverso questo pirata informatico bisex disilluso, che si vendica con gli stessi mezzi dei propri aguzzini. Accanto a lei c’è Mikael Blomkvist, affascinante giornalista condannato ingiustamente per diffamazione di un magnate della finanza. I due protagonisti sono frutto dell’evoluzione di due famosi personaggi di Astrid Lindgren, Pippi Calzelunghe e Kalle Blomkvist. L’eroina larssoniana conserva i tratti che resero famosa la bimba con le trecce: rifiuto del conformismo e asocialità, iperattività e disturbi affettivi. La maturità l’ha inasprita e da ragazzina scavezzacollo l’ha trasformata in un’icona hard boiled, su modello di quella letteratura tanto amata dal suo creatore. Di contro Blomkvist ricalca la figura dell’omonimo detective bambino affascinato dalla criminologia.

Tali riferimenti sono difficilmente riconoscibili nel film che il regista Oplev ha tratto dal primo capitolo della serie. Il romanzo-fiume è infatti intriso di rimandi a persone letterarie e reali (persino i Vanger si ispirano a certe figure del movimento nazionalsocialista svedese). La grande quantità di informazioni viene quindi condensata, conservandone i tratti fondamentali e seguendo una correttezza filologica. Lo spirito del libro non viene tradito, ma tradotto in un prodotto visivamente appetibile che rispetta l’ambientazione originale. Anche se l’oscura campagna finnica sullo schermo non è impregnata di un’angoscia misantropa, ma è un asettico teatro di delitti privo di anima. La rapida sequenza di scene non permette infatti di approfondire questo e altri elementi di contorno; la regia si concentra piuttosto sui personaggi e mantiene quegli ingredienti che fanno scattare l’alchimia tra pubblico e interpreti. Tuttavia Oplev smussa alcuni aspetti caratteriali, mostrando un Mikael più tenero e per nulla libertino, mentre in origine passava con noncuranza da una partner all’altra. Nonostante ciò non si può accusare il filmmaker danese di abbandonarsi a un sentimentalismo apocrifo poiché riporta quasi integralmente la scena di violenza sessuale narrata nel testo e mostra una Lisbeth dura quanto la [img4]controparte letteraria. La pellicola rende accuratamente la visione anti-fallocratica che demonizza le devianze che sono spesso prerogativa del sesso forte: il messaggio finale è tutt’altro che politically correct perché pare non esserci possibilità di redenzione per i “mostri” che infestano il mondo moderno.

L’adattamento cinematografico del romanzo soddisfa così il lettore appassionato e incuriosisce chi non conosce l’autore scandinavo, ma soprattutto tiene incollati alla poltrona dall’inizio alla fine. Uomini che odiano le donne sullo schermo non è una mera fotocopia del romanzo né una libera fantasia ispirata al libro: è una raffigurazione credibile di due personaggi già prossimi al mito.

Uomini che odiano le donne, romanzo di Stieg Larsson, 2004
Uomini che odiano le donne, regia di Niels Arden Oplev, 2009

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