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Schegge da Cannes
18 maggio

Marco Bellocchio, Giovanna Mezzogiorno e Filippo Timi alla presentazione di VincereScheggia 1 di Andrea Giordano

La serata di ieri ha visto passare in concorso il primo e unico film italiano, Vincere, di Marco Bellocchio, presentato per la stampa intorno alle 19. Bellocchio, che qui a Cannes passa per la sesta volta in concorso (in realtà in tanti anni è stato presente anche in tutte le altre sezioni della kermesse), è la “speranza” italiana del programma principale, che l’anno scorso ci ha regalato le gioie di Gomorra e Il Divo.

Un film sicuramente non facile da comprendere, quello del regista emiliano, che esplora la vita privata del non ancora Duce, in particolare sul figlio segreto, Benito Albino, avuto dalla sua prima moglie (matrimonio però mai accertato e documentato), Ida Dalser. È una storia d’amore ma anche di grande sofferenza: la carriera politica di Mussolini degli inizi, il, il figlio, e poi l’abbandono e l’emarginazione – indifferenza per i due, fino all’epilogo tragico, sia per la Dalser, che per il figlio (oramai grande), che rinchiusi nello scenario manicomiale troveranno la morte. Bellocchio fa così luce su uno degli aspetti del Duce nella sua ascesa al potere, ovvero quell’ “utilizzo” della donna, Rachele, moglie ufficiale, e in primis della Dalser. Quest’ultima vita come una sorta di eroina tragica, tenace, lucida, ma anche fortemente contraddittoria, che per amore di Mussolini, rinunciò a tutto, perdendo però così tutto. E la conferma arriva ancora una volta da Giovanna Mezzogiorno. La sua intelligenza recitativa è disarmante. Un personaggio, quello interpretato, che come ha detto “ha avuto bisogno non solo di studio e letture, ma anche di un training con una coreografa, per un ruolo che oltre che essere emozionale, è stato anche fortemente fisico”. Bravo anche Filippo Timi, nei panni del giovane Mussolini (ma anche del figlio cresciuto della Dalser), che anche se appare un po’ troppo caricaturale nell’interpretazione, non pecca certamente di banalità. Lo stesso Duce, osannato dalla folla, che vediamo nei tanti frammenti d’epoca concessi dall’Istituto Luce e montati ad arte da Francesca Calvelli, (bellissima tra l’altro la fotografia di chiaroscuri di Daniele Ciprì), oggi ci appare davvero quasi come un mancato attore, una caricatura teatrale, un indiretto terzo attore per Bellocchio.

La pellicola è stata accolta timidamente: applausi quasi di cortesia verrebbe da dire. Il film è interessante per la sua indagine storica e politica, e questo è un aspetto che potrebbe non passare del tutto inosservato alla Giuria. Qualora dovesse arrivare un premio, dovrebbe andare alla Mezzogiorno, che se lo meriterebbe tutto.

Scheggia 2 di Giampiero Raganelli

Ovazioni per il film di Ken Loach, Looking for Eric, presentato oggi in concorso. Nella tipica ambientazione, cui il regista “arrabbiato” inglese ci ha abituati, il mondo della working class inglese, il film racconta di Eric, un postino dalla famiglia incasinata, grandissimo ammiratore di un altro Eric, Cantona, grande campione del Manchester United. Cantona appare improvvisamente e esercita sul postino lo stesso ruolo che Humprey Bogart aveva con Woody Allen in Provaci ancora Sam: gli infonde coraggio, lo sprona a riscattarsi da una vita mediocre e sottomessa. Il mondo del calcio, effimero e inarrivabile per i tifosi, come la societa` dello spettacolo, diventa concreto nella vita di quello di un fallito, dimostrando come si possa essere campioni anche nella quotidianita’.

Bella sorpresa, per Un certain regard, con Le pere de mes enfants della giovanissima Mia Hansen-Love, fidanzata del critico e regista Olivier Assayas (contera’ qualcosa al di la` dei meriti). Il film racconta di un produttore di cinema indipendente che, non riuscendo a ottenere finanziamenti per i suoi film, decide di suicidarsi lasciando soli moglie e figlioletti. Di solito, quando il cinema parla di se stesso, i produttori assumono il ruolo dell`orco cattivo, basta pensare a Lo stato delle cose di Wim Wenders. Qui invece abbiamo un omaggio a quel mondo di produttori coraggiosi, grazie ai quali non sarebbe possibile molto cinema non commerciale. Ma prima di tutto la Hansen-Love tratteggia un personaggio che crede sinceramente in quello che crede e racconta, in modo delicatissimo, la storia della mancanza di un padre per i suoi figli piccoli.

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