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cultura dell'immagine e della parola

Il ventennio televisivo e i cani su Facebook

Mi connetto a Facebook e non c’è giorno in cui non veda nascere nuovi gruppi per la salvaguardia del cane o, sempre più spesso, per la tortura e l’uccisione di chi il cane non lo salvaguarda. La cosa non mi stupisce: il web 2.0, in fondo, non fa altro che darci un’immagine sempre più chiara e intelligibile di quello che l’ultimo ventennio di Tv commerciale ha prodotto a livello sociale. Chiariamolo subito: non vi sto dicendo niente di nuovo. Con questo articolo vorrei semplicemente applicare a un caso pratico, cioè il proliferare di una sorta di coscienza collettiva popolar-animalista (o, meglio, animal-populista), quanto teorizzato da due tra le figure più importanti nel campo delle scienze della comunicazione: Giovanni Sartori (il professore) e Neo (l’Eletto). Il primo è colui che attraverso un saggio a mio parere fondamentale, Homo videns (1996), ha illustrato quello che è stato un passaggio fondamentale nella storia del pensiero contemporaneo: la fine dell’epoca della parola scritta, caratterizzata dal pensiero astratto, e l’inizio di quella dell’immagine televisiva, nella quale la capacità di astrazione è andata persa con esiti cognitivamente disastrosi. Il secondo, Neo, è colui che metaforicamente incarna il bivio dell’uomo contemporaneo: da una parte l’accettazione della realtà mediatica, dall’altra la riflessione critica su questa pseudorealtà. “Pillola rossa o pillola blu” tertium non datur.

Ri-detto in parole povere: un tempo la gente leggeva e si abituava a pensare in profondità, poi è arrivata la Tv e la gente è diventata schiava delle immagini. Dico schiava perché l’immagine ti convince che sei di fronte alla realtà (lo vedo, dunque esiste), ma in qualche modo ti inganna sempre, vuoi perché è ripresa da una certa prospettiva, vuoi perché se inquadro qualcosa probabilmente non sto inquadrando qualcos’altro che quindi verrà considerato inesistente. Nell’anno di grazia 2009, mi sento di dire che ben poche persone sono ancora in grado di fare una riflessione critica su quello che si trovano a vedere. Pochi Neo quindi, a fronte di una matrice sempre più carica e popolata. Una situazione preoccupante, se ci pensate. Ma come sempre ci sono gli ottimisti: nella fattispecie, si tratta di quelli che già da qualche anno ci dicono: «Hey gente, di cosa diavolo vi preoccupate? Ora c’è la Rete, c’è addirittura il 2.0, il pensiero è salvo. Milioni di persone possono comunicare senza mediazioni!». Il problema è che se il 2.0 lo fruisci acriticamente come facevi con la Tv, il risultato non cambia. Facebook è lì a dimostrarlo. E questo mi porta appunto ai gruppi per la salvaguardia dell’incolumità canina.

So che è bene fare una premessa. Quindi la faccio. Dunque, sia chiaro che anche secondo me la violenza sugli animali è sbagliata, chi la compie sia da punire e chi la incoraggia sia sostanzialmente un imbecille. Ma non è di questo che ho intenzione di scrivere. A me interessa solo evidenziare come, secondo la migliore tradizione populista, la causa animalista (in sé buona) sia stata usata in modo sostanzialmente manipolatorio dai mezzi d’informazione. E con manipolatorio intendo “rincoglionire la gente”. Vi siete mai chiesti come mai Studio Aperto prima e il Tg5 poi abbiano battuto con tanta frequenza sul tasto del “salviamo i nostri amici animali”? Semplicemente perché si tratta di una tematica che si presta benissimo a convogliare l’indignazione delle persone verso un campo sostanzialmente innocuo per chiunque detenga del potere. Mi spiego. Se dovessi fare una classifica dei grossi problemi dell’umanità, non credo che i maltrattamenti sui cani finirebbero sul podio, quantomeno non finché esistono AIDS, guerre, catastrofi che coinvolgono popolazioni, la fame nel mondo, il degrado nelle città ecc. Ma questo non importa. Mettiamo anche che la sofferenza canina abbia pari importanza rispetto a queste tematiche: come mai se ne parla più spesso che non della situazione medica dell’Africa o della vita dei senzatetto?

La risposta sta appunto nel fatto che la difesa dei diritti dei nostri amici animali risponde perfettamente alla nostra esigenza di sentirci buoni (o nel peggiore dei casi all’esigenza di scaricare la nostra aggressività), senza per questo mettere in pericolo lo status quo. Se vedi un servizio sull’AIDS in Africa, forse ti verrà il dubbio che stiamo sfruttando quel continente causando la morte di molte persone. Se senti parlare troppo spesso del barbone morto assiderato (quest’inverno a Milano ben sette) forse ti viene il dubbio che la nostra società non sia particolarmente giusta o quantomeno caritatevole. Se invece vedi il cagnolino sofferente, sai benissimo che il responsabile è uno solo: il padrone malvagio, che tra l’altro in video non compare mai. È lui il nemico perfetto, quello che non ha volto né voce, quello che puoi odiare in quanto tale, a prescindere. Con in più il vantaggio che il cane non parla, quindi è ancora più automatico prendere le sue parti (a volte le vittime umane, quando parlano, perdono un po’ di aura). Per tornare al nostro caso pratico, andate a vedere qualcuno di questi gruppi su Facebook. Oltre a tanta buona fede e altrettanti buoni propositi, troverete due elementi basilari: la credulità e la violenza.

Per quanto riguarda la credulità, è la riprova dell’esattezza delle teorie di Sartori per cui un popolo passato attraverso due decenni di egemonia televisiva è un popolo manipolabile. Vi faccio un esempio: alcune settimane fa sul social network è comparso un gruppo che chiedeva l’abolizione della pesca allo squalo effettuata utilizzando i cani come esche. Chiaramente si trattava di una bufala, resa vagamente più credibile dal fatto che l’autore allegasse una foto con un cane nel cui muso si era infilzato un gancio di ferro (con tutta probabilità a causa di un incidente) e un video dove in realtà si vedevano solo cani randagi a passeggio. Una buona bufala direte voi, quantomeno credibile. Per valutare se fosse maggiore l’abilità del falsario o la credulità della gente, ho fatto un esperimento. Sulla falsariga di questa, ho creato una nota da postare su Facebook inventandomi che nella Guyana tedesca (stato inesistente) ai tucani venissero strappati i becchi per farne degli apribottiglie. Ho poi aggiunto la foto di un becco di tucano. Ebbene: la gente crede a tutto. Più della metà dei messaggi che ho ricevuto in risposta a questa nota erano di persone sinceramente solidali con i tucani.

Ma l’aspetto della violenza è addirittura più inquietante. Una costante all’interno di molti gruppi pseudo-animalisti in FB è infatti l’estrema aggressività dei loro componenti. Di recente ho trovato qualcosa del tipo “Diamo da mangiare ai cani da combattimento i loro padroni”, ma anche un altro gruppo piuttosto folle in cui la gente descriveva quello che avrebbe fatto “a chi maltratta i cani”, tirando fuori perle del tipo investimenti in macchina o facce sfigurate a pugni da giustizieri improvvisati. Un paio di giorni fa ho dedicato un po’ di tempo al gruppo “Mi chiedo perché i cani che mordono vengano soppressi, mentre chi stupra abbia diritto a un avvocato”. Il mio intento era far capire agli iscritti che sarebbe impossibile e piuttosto inutile istituire processi ai cani, mentre per capire se una persona ha effettivamente stuprato, il procedimento penale è necessario. La mia unica arma era questo esempio: “metti che ti accuso di stupro. Se aboliamo i processi tu vai in gabbia anche se non è vero”. A giudicare dalle risposte che ho ricevuto, temo di aver fallito.

E con questo è bene che concluda, visto che tanto sono a più di settemila battute e quindi – secondo gli standard di internet – nessuno mi sta più leggendo. Quello che volevo dire, in fondo, si riassume in queste due righe: che voi siate mossi dal desiderio di sentirvi generosi o dalla voglia di sfogare la vostra aggressività, fate attenzione. Buoni o cattivi che siano i vostri sentimenti, se non vi abituate a ragionare criticamente, in qualche modo sarete sempre soggetti a manipolazione. E questo, a livello sociale, è un grosso pericolo. Che detto così sembra tanto il “la potenza è nulla senza controllo” di pirelliana memoria. Ma in fondo, nell’era digitale, l’originalità non conta più nulla.

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