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Una risata vi seppellirà

Una risata vi seppellirà

Si può scoppiare a ridere pochi secondi dopo l’esplosione di un missile che spezza in due una macchina, uccidendone il guidatore? Si possono trattenere a stento le risate in mezzo ai massacri, alle tragedie, alle assurdità della Palestina contemporanea? La risposta è in questa commedia intelligente e garbata, a tratti convenzionale ma sempre gradevole e capace di mostrare nel modo più “leggero” possibile una realtà spesso travisata dalla lente deformante dei pregiudizi. Il film, già pluripremiato (tra i riconoscimenti più significativi, miglior lungometraggio al MedFilm Festival e al Cairo International Film Festival del 2008), ha molteplici meriti: il primo è quello di raccontare la quotidianità di una Palestina reale, impegnata nonostante tutto a destreggiarsi tra telefoni cellulari e feste di nozze, esami ospedalieri e videogiochi, dimostrando (se ce ne fosse bisogno) che i disastri della guerra e della povertà non sono bastati a cancellare una tradizione di civiltà che dura da millenni. Significativo anche l’altro assunto alla base dell’opera: il senso della giustizia, dell’onore e dell’ordine, personificati sia pure in modo caricaturale dal protagonista, possono resistere tra mille difficoltà anche ad una situazione di emergenza perpetua e al totale degrado delle istituzioni.

Ma soprattutto, il film ha la fondamentale capacità di divertire. Lo fa attraverso la satira politica, che bersaglia un po’ tutti, dall’autorità palestinese ai media, da Hamas agli israeliani; attraverso la satira sociale, resa credibile da una serie di irresistibili macchiette; attraverso i classici espedienti della commedia degli equivoci come lo scambio di persona o il “casuale” lieto fine. Alcune gag sono davvero memorabili: la scena in cui gli avventori di un bar osservano le immagini di guerra sullo schermo, senza riuscire a distinguere l’Iraq dalla Striscia di Gaza, è tra queste, così come il dialogo surreale tra questuanti: “Perché siete in fila?” “Perché c’è una fila!”. Non tutto, sia chiaro, funziona alla perfezione. Sul piano stilistico il film non va oltre il convenzionale e si regge quasi unicamente sulla splendida performance attoriale di Mohamed Bakri, forse il più celebre uomo di cinema palestinese (visto fra l’altro ne La masseria delle allodole), qui praticamente sempre in scena dal primo all’ultimo minuto. La sceneggiatura, di solito tagliente, a volte scade nell’ingenuità e qualche scena suona un po’ troppo “politicamente corretta” per essere davvero efficace.

Lo sfogo finale del protagonista, pur inevitabilmente sopra le righe, squarcia il velo del buonismo per rivelare la frustrazione e il dolore che fanno da sottofondo alla superficiale allegria. Ma, forse, a riuscire in quest’operazione è soprattutto la scena iniziale: un uomo di mezza età che si sveglia di soprassalto nel proprio letto, in una ricca abitazione borghese, e vaga da una stanza all’altra con un evidente senso di smarrimento, immediatamente percepibile dallo spettatore, in una tetra atmosfera di angoscia e terrore che svanirà poi per tutto il resto del film.

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