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Quando la lunghezza stanca

Nella maggior parte dei casi le trasposizioni cinematografiche condensano in un paio di ore centinaia di pagine tratte da opere letterarie complesse. Con Lo strano caso di Benjamin Button è stata invece messa in atto una vera e propria riscrittura, con un ampliamento che dilata in quasi tre ore di film un racconto breve di appena 59 pagine. Ma la maggiore lunghezza non porta con sé un aumento della qualità. L’atteso film di David Fincher, con Kate Blanchett e Brad Pitt, non è all’altezza delle attese, nonostante la candidatura a 13 premi oscar, in gran parte, comprensibilmente, sfumati. Gli effetti speciali, le scenografie, il trucco e l’interpretazione dei protagonisti sono, in effetti, molto accurati e in linea con la buona critica di cui ha goduto il film. Nell’insieme però la pellicola non riesce a divenire il prodotto memorabile che era nelle intenzioni degli autori, iscrivendosi a pieno titolo nell’albo delle occasioni perdute. La struggente lentezza della narrazione, la tecnica del flashback, l’eccessivo indugiare su particolari superflui della vita del protagonista e, soprattutto, la chiave di lettura fatalista e malinconica della storia di Benjamin Button ammorbano e annoiano lo spettatore.

Nulla di tutto ciò appartiene al racconto che, con piacevole malizia, toni leggeri e a tratti umoristici narra la curiosa storia di un neonato molto particolare. Benjamin Button nasce, infatti, già vecchio: un 75enne con barba e capelli bianchi, alto 1 metro e 70 e dotato di una parlantina tremolante ma irriverente. La sua vita si svolge a ritroso, creando situazioni e imbarazzanti ed equivoci. Il punto di forza dello scritto è proprio la capacità dell’autore di raccontare fatti oggettivamente drammatici lasciando il lettore con il sorriso sulle labbra. Il racconto è una vera e propria fiaba che, non curandosi di apparire realistica, prosegue essenziale e spedita delineando i contorni di una vicenda surreale. La maestria di Scott Fitzgerald emerge proprio dalla capacità di ispirare, con poche parole, un vasto repertorio di situazioni fantastiche. Questo potere immaginifico è del tutto assente nel film, che trasforma la leggenda di Benjamin aggiungendo realismo e prosciugando completamente fantasia e ironia. Le vicende narrate nel film sono state collocate a cavallo tra le due guerre, rendendo praticamente contemporanea una storia originariamente ambientata nella prima metà dell’800.

Il punto focale diventa l’ineluttabile storia sentimentale tra i protagonisti, rendendo il film la struggente cronaca di un inseguimento amoroso e anagrafico più che la raccolta [img4]degli incredibili aneddoti di un personaggio fuori dalla norma. La trasposizione, per quanto legittima, appare un maldestro tentativo commerciale di rendere epico un racconto che aveva già in sé tutta la maestria dei propri natali. Un tentativo pretenzioso e quanto mai fallito di depauperamento artistico, che ha al suo attivo solamente la bella presenza e la dedizione di Brad Pitt oltre che i rammentati trucchi e scenografie. Non c’è nulla come la visione di un film punitivo come questo per restituire ai più svogliati dei ragazzi il piacere della lettura di un bel libro di autore. Ne beneficerà anche il tempo libero: l’impegno richiesto sulle pagine è meno della metà di quello necessario per vedersi tutta la pellicola.

Il curioso caso di Benjamin Button, racconto di Francis Scott Fitzgerald (1922)
Il curioso caso di Benjamin Button, regia di David Fincher (2008)

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