hideout

cultura dell'immagine e della parola

L’assordante silenzio di un fiume

L’assordante silenzio di un fiume

Il film apre con la protagonista, Ray Eddy: un suo primissimo piano sulla mano che trattiene una sigaretta accesa. Il viso è segnato, gli occhi in lacrime ma silenziosi, le mani tremanti sono sciupate e le unghie annerite da chi esegue instancabilmente lavori manuali. Si tratta di una madre, una moglie abbandonata dal marito che ha sperperato con il gioco d’azzardo tutto il denaro destinato all’acquisto di una casa prefabbricata per tutta la famiglia. Apparentemente una storia strappalacrime come tante, stile piccola fiammiferaia abbandonata. In realtà non è la disperazione o il muto dolore il tema principale. Il film porta alla luce la forza di volontà e il desiderio di riscattarsi di Ray Eddy. Con due figli a carico, la donna vuole sbarcare il lunario e scopre che può farlo aiutando lavoratori clandestini, cinesi e pakistani, a entrare illegalmente negli Stati Uniti, attraverso il fiume congelato St. Lawrence.

Il Lawrence è l’altro importante protagonista muto della vicenda. E’ il grande giustiziere. Rimane freddo e immobile durante i passaggi in macchina della donna. Buio, profondo e imperturbabile la guarda passare con i clandestini nascosti nel portabagagli e senza colpo ferire rimane a osservarla. Solo quando la tensione giunge al culmine il lago inizia a parlare, a urlare e a rivendicare un suo personale equilibrio. Analogamente a Ray, che da vittima diventa l’orrendo nocchiero Caronte che sceglie e giudica chi trasportare da un lato dall’altro del fiume Ade (è lei che decide di abbandonare e recuperare poi il misterioso bagaglio della coppia pakistana) in cambio di un obolo, il fiume congelato si assottoglia e fa precipitare la vicenda verso una drammatica svolta.

Ray, interpretata dalla brava Melissa Leo, a questo punto rivela tutta la sua umanità. Al suo fianco un’improbabile compagna, Lila Littlewolf, una giovane Mohawk, interpretata dall’attrice Misty Upham, spinta da un simile, disperato istinto materno. In soli 97 minuti, il film riesce attraverso l’espressività e laconicità delle sue protagoniste a esprimere un dramma interiore. Si tratta di un thriller sociale lento, nello stile di Ken Loach. Ma a differenza di quanto avviene nei lungometraggi del regista inglese, la Courtney Hunt non mira a denunciare lo sfruttamento illegale dei lavoratori, quanto a focalizzare sullo lo stato d’animo delle protagoniste, il loro essere dure e spietate ma allo stesso tempo protettive, forti e materne al punto da decidere in pochi minuti il corso della loro vita e quella dei loro rispettivi figli.

Curiosità
Il film è stato premiato al Sundance e al Noir di Courmayeur, e si è inoltre guadagnato due candidature agli ultimi Oscar come miglior attrice protagonista e sceneggiatura originale.

Non c'è ancora nessun commento.

Lascia un commento!

«

»