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cultura dell'immagine e della parola

Diario dalla Berlinale
11 febbraio

Michelle Pfeiffer durante la conferenza stampa di CheriOggi sarebbe la tipica giornata del “rimanere a casa” e del “non uscire”: bufera di neve e freddo polare non sono certo un bell’inizio, ma si sa il Festival non ne risente assolutamente, ci mancherebbe, e prosegue.

È il film rumeno–ungherese Katalin Varga ad aprire il programma della giornata. Diretto da Peter Strickland, il film narra la storia di una giovane donna, madre di un figlio di dieci anni, che si trova a fuggire dal proprio villaggio, in cerca del vero padre del ragazzo. Qualcosa di terribile però l’attende al varco. Opera autoriale è vero, ma per niente significativa.

Ma è la giornata di Demi Moore e del suo Happy Tears, pellicola anch’essa in concorso. Se La famiglia Savage aveva affrontato il rapporto tra due fratelli alle prese con il padre malato, qui la storia è più leggera anche se alcuni ingredienti sembrano essere simili. Due sorelle, in questo caso, si trovano di nuovo insieme sotto lo stesso tetto con un padre anziano, ma ancora arzillo. E mentre un tesoro si nasconde in giardino, le due riscoprono il valore della famiglia e dell’amore paterno. Stesso discorso per Cheri di Frears, parentesi divertente, ma non da competizione a mio parere. Sarebbe bastato metterlo fuori concorso e inserire invece John Rabe… ma vallo a spiegare alla commissione della Berlinale, in questo caso “avida” di prime donne nel concorso che conta.

Il pomeriggio è dedicato invece alle interviste di Cheri.
Se Hampton e Frears non dicono niente di entusiasmante, è Michelle Pfeiffer che fa risplendere questa giornata plumbea e un po’ triste. Venti minuti in cui l’attrice americana parla di sé, ma anche della sua carriera, dei suoi progetti (forse un futuro dietro la macchina da presa), ma soprattutto si dimostra essere antidiva in tutto e per tutto. Bell’esempio per le giovani colleghe.
È ormai calata la sera, notte a tutti.

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