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cultura dell'immagine e della parola

Diario dalla Berlinale
7 febbraio

L'entrata della Friedrchstadtpalast alla premiere di John Rabe7 Febbraio, terzo giorno di Festival qui a Berlino.
Oggi il clima sembra abbastanza sereno, sempre freddo, ma sopportabile.

Mattinata dedicata a fissare interviste e a parlare con uffici stampa, mentre verso le 12 arriva per me il momento della prima proiezione, Storm, pellicola in concorso. Il film, diretto dal regista tedesco Hans Christian Schmid (terza volta per lui qui al Festival dopo i premi e i consensi per Lichter nel 2003 e Requiem nel 2006), è stato accolto molto bene alla proiezione stampa del mattino, parecchi gli applausi. La storia è quella di un criminale di guerra, braccato dopo una lunga latitanza, che accusato di brutalità contro l’umanità, si trova di fronte al Tribunale Internazionale. Una pubblica accusa, l’ottima Kerry Fox, dovrà cercare di fare luce e chiarezza su questa terribile vicenda, anche andando di persona a Sarajevo per trovare testimoni (e una in particolare la troverà). Schmid costruisce indubbiamente un lavoro narrativo interessante e attuale, ma lo fa grazie anche a un cast omogeneo, che nel suo complesso ben si colloca nella storia. Finora una delle pellicole migliori viste qui alla Berlinale.

Pomeriggio, come scritto in precedenza, dedicato alle interviste del film John Rabe, in particolare al regista Florian Gallenberger e uno degli attori, il grande Steve Buscemi. Con il regista ho un incontro di 20 minuti, in cui mi spiega com’è nato il progetto di dedicare un film al cosiddetto “Schindler della Cina”. Gallenberger, partito per l’Oriente già con l’idea di fare un film sul personaggio di Rabe, si è convinto dopo aver fatto decine di interviste e in particolare dopo aver ricevuto la telefonata di alcuni produttori che hanno voluto investire su questo progetto, che per i costi è risultato di notevole spessore. Nell’intervista mi racconta della scelta del cast e in particolare di Buscemi, che immediatamente ha accettato un ruolo drammatico e serio, sacrificando per una volta la sua tipica ironia. Gallenberger alla mia domanda sul perché un film tedesco, su un personaggio soprattutto tedesco, sia stato escluso dalla competizione, mi confida tutto il suo disappunto, dato che quando aveva proposto il progetto sperava in qualche modo di entrare nel concorso che assegna i premi più importanti. Un bell’incontro, non dimentichiamo anche con un Premio Oscar. Veniamo a Steve Buscemi, uno dei “mattatori della Berlinale” (presente anche in Rage di Sally Potter). L’attore appare un po’ stanco, troppe le interviste e sempre le stesse domande. In ogni modo parla del suo ruolo e di come la storia lo abbia convinto a tal punto da non pensarci due volte prima di accettare. Lui, che è anche ottimo regista, ha trovato un ottimo feeling con Gallemberg e mai “mi sono intromesso nel suo lavoro, sono una macchina recitativa”, dice.
Buscemi ha parlato del suo rapporto con i Coen, “ci vado d’accordo”, ma bonariamente li “rimprovera” per non averlo chiamato per Non è un paese per vecchi – “Non li perdono”, dice scherzando. Molte le domande anche dagli altri 4 giornalisti ma è il finale che riserva lo scoop: alla mia domanda sul suo legame con l’Italia, l’attore dice “ho recuperato da poco il mio passaporto italiano che pensavo di aver perso. Anche mio figlio ha un passaporto italiano e lo voglio portare in Sicilia, dove vivono alcuni miei parenti. Mio nonno era di quelle parti e voglio appunto che mio figlio conosca le sue origini. Posso dire finalmente di essere cittadino italiano”. Magari ne farà un film gli chiedo – “Forse, perché no dice scherzando, ti chiamo quando decido”.

Davvero un grande personaggio. Bell’intervista. La sera, oramai alle porte, coincide anche con il mio ritorno verso l’hotel, dove una bella dormita mi attende.

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