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cultura dell'immagine e della parola

La fede dell’autodistruzione

E’ passata una decina d’anni dalla pubblicazione del romanzo Fight Club di Chuck Palahniuk e dall’uscita della relativa pellicola di David Fincher ma la loro fama, anziché diminuire, è cresciuta col tempo.
Fight Club si è dimostrato esempio di grande cinema, capace di tenere attanagliato lo spettatore grazie a un ritmo incalzante e a continui colpi di scena e contemporaneamente di dare spazio alla riflessione esistenziale. La forza visiva delle scelte di regia, associata a una selezione vincente degli attori (Edward Norton, Brad Pitt, Helena Bonham Carter) ha determinato un successo del film forse anche maggiore di quello, già grande, ottenuto dal libro. La sfida dello sceneggiatore Jim Uhls di trasporre un romanzo scritto in prima persona, quasi un diario, in un prodotto da grande schermo è stata vinta: il linguaggio diretto delle immagini rappresenta impeccabilmente il flusso di pensieri del romanzo. L’opera cinematografica ha così portato ulteriori ammiratori al geniale Palahniuk senza che la saggezza dell’opera narrativa venisse persa per ragioni di marketing.

Fight Club è un testo audace nel descrivere un autolesionismo insolito: il narratore si provoca ferite con la lisciva, cerca la rissa col fine di perdere o si prende a pugni da solo, è costantemente ricoperto di cicatrici e ferite mai rimarginate. La sofferenza che si autoinfligge trasuda forza e virilità: rende sicuri, promuove la conoscenza dell’io e dei propri limiti. A differenza di altri libri più recenti non si tratta in questo caso di un masochismo fine a se stesso come in Ingannevole è il cuore più di ogni cosa e non è nemmeno una psicosi da trauma che non dà speranza né sollievo, come ne La solitudine dei numeri primi. Il danno inferto al proprio corpo non ha motivi religiosi o politici, è semplicemente l’unica boccata d’aria nella meschinità del mondo moderno.

Sotto ai lividi e alle cicatrici si nasconde un messaggio profondo, che è presente in maniera importante in tutte le opere di Palahniuk: la filosofia dell’autoannientamento. La libertà è negata dalla standardizzazione della società, dal consumismo, dalla struttura preordinata di un sistema che rende le persone robot senza anima né cervello. In Fight Club il combattimento, cardine della vicenda, richiama la condizione primordiale di lotta per la sopravvivenza. Dove non c’è speranza per chi è ai margini della società, alienato dalla civiltà globale, il riscatto può giungere solo dal sangue e dalla brutalità del corpo a corpo. La violenza è linfa vitale che scorre nelle vene, in un mondo in cui l’anarchia è l’unica soluzione al malessere dell’anima. La protesta globale finirà per produrre ancora una volta individui tutti uguali, le scimmie spaziali che si sacrificano per il progresso; ma non si tratterà più di emarginati senza futuro, bensì di uomini coscienti di una missione comune di sovvertimento dell’ordine prestabilito.

Come sempre nelle opere di Palahniuk a farla da padrona è il colpo di scena, la trovata geniale e inaspettata, che in questo caso è legata allo sdoppiamento di personalità, sorprendente nel libro tanto quanto nel film. In quest’ultimo lo stratagemma narrativo risulta forse ancora più scioccante, poiché supportato dalla diversa fisicità dei due protagonisti, le cui vicende sono commentate dalla voce fuori campo. L’adattamento ha comportato una minore esaltazione della figura di Tyler Durden, appassionante ed onnipresente ma non indistruttibile ed eterna come nella controparte letteraria. Tali differenze non hanno infastidito lo scrittore, che si è dichiarato soddisfatto del prodotto e delle discussioni che ha suscitato, nonostante non sia intervenuto direttamente nella fase di scrittura del film. Eppure vi è un elemento di rottura, una fiducia nel futuro che è estranea al romanzo: David Fincher, proprio sul finale, si tira indietro, si distacca dall’angoscioso Palahniuk e non porta a termine l’opera, regalando allo spettatore quella speranza di redenzione che nel libro viene completamente negata.

Fight Club, romanzo di Chuck Palahniuk, 1999
Fight Club, regia di David Fincher, 1999

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