hideout

cultura dell'immagine e della parola

Frazioni (armate) di verità

Frazioni (armate) di verità

Un inizio scioccante proietta le immagini della visita dello Scia’ in Germania, nel 1967, con lo spettatore che assiste impotente alle bastonate della guardia persiana contro i manifestanti; poi le esigenze cinematografiche comprimono i tempi della spiegazione sulle origini della rabbia studentesca e si viene immediatamente risucchiati nel vortice di un film che tiene inchiodati alla poltrona per 150 minuti. Diversi anni dopo l’opera collettiva Germania in autunno (Deutschland im Herbst, 1978) e Anni di piombo (Die bleierne Zeit, Margarethe Von Trotta, 1981), il cinema tedesco torna, con un inedito colossal ad alto budget, a raccontare il terrorismo degli anni Settanta utilizzando una vasta gamma di stilemi cinematografici per trattare un tema spesso rimosso dal grande schermo o, come in Italia, relegato a singoli episodi.

Frazioni di verità
Lo sceneggiatore Eichinger ha definito “drammaturgia a pezzi” il tentativo di assemblare frazioni di verità attraverso stili diversi. Il ritmo febbrile e la colonna sonora rimandano al thriller politico, il tema trattato all’affresco storico-biografico, le scene violente e le roboanti sparatorie al genere gangster ed al film di pura azione quando, al posto delle due terroriste che si allontano mentre alle loro spalle esplode una caserma, potrebbe tranquillamente apparire Bruce Willis. La macchina da presa a mano si sporca di sangue, acqua e pallottole e si muove impaziente inseguendo adrenalinica l’energia criminale autodistruttiva dei personaggi mentre un Cristo delirante predica l’apocalisse tra le fiamme. Potenti scene di massa si alternano a feroci esecuzioni e il montaggio vorticoso accosta efficacemente fiction a fulminanti spezzoni di documentari. Formidabile la figura del capo della polizia Horst Herald (Bruno Ganz) che, come in un classico noir, crea una sorta di immedesimazione con l’avversario.

Gioventù bruciata … dalle polemiche
Alle accuse di fornire un’immagine epica dei terroristi, in bilico tra gioventù bruciata e mito romantico, Edel ribatte ricordando che Ulrike ed Andreas erano di fatto icone per la loro generazione. Il film, peraltro, mostra l’altro lato del glamour: il delirio d’onnipotenza, la visione acritica della libertà, l’autoritarismo e l’arroganza materializzata in boccate di fumo e nell’ostentazione della liberazione sessuale senza rispetto per culture diverse. Intenso e inquietante il momento della caduta quando, per un istante, la Gedeck rannicchiata su se stessa, schiacciata contro il muro bianco della cella, capelli corti spettinati e sguardo folle verso il vuoto, evoca la Renée Falconetti della Giovanna d’arco di C.T. Dreyer (La passion de Jeanne d’Arc, 1928).

Curiosità
Il film, tratto dal libro del 1985 del giornalista del Der Spiegel Stefan Aust, in Germania ha scatenato forti polemiche tanto che la moglie del banchiere Ponto, vittima della R.A.F., ha restituito al governo la croce al merito mentre “l’opzione” degli sceneggiatori per la tesi del suicidio dei terroristi ha rinfocolato vecchie polemiche. Nel finale da sottolineare la scelta ambigua nell’utilizzo per i titoli di coda della canzone simbolo del pacifismo Blowing’ in the wind di Bob Dylan. La banda Baader Meinhof rappresenterà la Germania agli Oscar 2009.

Non c'è ancora nessun commento.

Lascia un commento!

«

»