hideout

cultura dell'immagine e della parola

Come formare uno scout televisivo

Andrea BellavitaIl 31 ottobre, all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, verrà presentato il MAPpt – Master in Analisi e Progettazione del Prodotto Televisivo. A dirigere il corso, che rappresenta tra l’altro una novità assoluta per l’Italia, sarà Andrea Bellavita, giovane docente e studioso della televisione. Abbiamo approfittato del lancio del master per scambiare due parole con lui, cercando di farci spiegare in che direzione si sta muovendo il mercato del lavoro legato all’importazione di programmi e format stranieri,

Cominciamo dalle basi: di cosa si occupa un esperto in progettazione e analisi del prodotto televisivo?

I sistemi televisivi in generale, e quello italiano con tutte le sue peculiarità in particolare, lavorano fondamentalmente su due binari. Da una parte l’acquisizione di prodotti chiusi che devono essere collocati nel modo più efficace e coerente possibile in palinsesto. Dall’altra l’adattamento di format stranieri ai gusti e ai riferimenti socioculturali del pubblico nazionale. Quello che noi vogliamo fare è formare professionisti consapevoli, in grado di operare nel modo migliore in questi campi.

Partiamo dal caso dell’acquisizione di prodotti chiusi. Quali sono le scelte che possono segnare il successo o meno di un programma sugli schermi italiani?

In questo caso si parla di fiction. La variabile fondamentale è quella della corretta collocazione in palinsesto. Un esempio da manuale è quello di Heroes, un prodotto che in America ha riscosso un successo clamoroso mentre in Italia ha fatto flop proprio perché non si è tenuto conto della differenza tra i sistemi socioculturali di provenienza e di arrivo. Non si è pensato, ad esempio, a “discorsivizzare” il programma, costruendogli intorno una programmazione a base di magazine e approfondimenti che ne avrebbe favorito l’ingresso nell’immaginario collettivo anche da noi.

Nel caso dell’adattamento, invece, quali sono gli elementi sui quali si lavora?

Il bravo adattatore deve essere in grado di operare una traduzione intersistemica efficace tenendo conto delle caratteristiche del suo pubblico di riferimento che è diverso da quello per il quale ha scritto l’autore originario del format. In generale, il sistema italiano rispetto a quello americano dal quale provengono la maggior parte dei programmi, presuppone un maggiore investimento emotivo. L’esempio più chiaro è quello dei talent-show: mentre negli Stati Uniti si tratta di grandi spettacoli performativi dove la presenza di un conflitto è pressoché irrilevante, dai noi gli stessi programmi diventano una sorta di psicodrammi collettivi. Basti pensare ai programmi della De Filippi, oppure a X-Factor, che pur non avendo talenti al livello dell’originale è riuscito a ottenere successo puntando tutto sullo scontro tra Morgan e la Ventura. O ancora L’isola dei Famosi, un format diffuso un po’ in tutto il mondo che da noi tocca i suoi apici di emotività.

Finora, in Italia, si è sentito parlare molto più spesso di autorialità che non di adattamento o acquisizione di format stranieri. L’apertura del vostro master si inserisce sulla scia di un cambiamento di tendenza?

Esiste una ampia disponibilità di autori sul territorio nazionale. E non parlo solo dei “grandi vecchi”, ma anche dei “grandi giovani”, cioè la generazione tra i trenta e i quarant’anni. La figura dello scout, invece, è poco diffusa. Le aziende, però, hanno bisogno anche di questo tipo di professionalità, che al momento nessuno forma. Noi cerchiamo semplicemente di dare una risposta a questa esigenza.

Il lavoro dello scout differisce molto da quello dell’autore?

L’autore deve occuparsi delle tendenze preseti nel suo universo di riferimento. In questo momento di ripiegamento e riflusso, la tendenza principale è quella della nostalgia, legata anche al concetto di “seconda possibilità”. Non a caso i programmi prodotti nell’ultimo periodo dalle reti generaliste ruotano tutti intorno a questi concetti. Lo scout invece deve avere un occhio sul presente e l’altro sul futuro. E soprattutto deve essere in grado di metabolizzare suggestioni proprie di altri sistemi di riferimento. Nello specifico, ci si nutre soprattutto di America e della sua attualità, perché la fiction è sempre materia incandescente.

A questo punto, ne approfitto per chiederti cosa ci aspetta nell’immediato futuro…

Quello che osserviamo, all’interno della fiction statunitense, è una decisa evasione dalla realtà. Si tratta con tutta probabilità di un effetto post 11 settembre. L’immaginario si fa sempre più fantastico e meno aderente al reale, come in una sorta di fuga. Il migliore esempio di questo mood è sicuramente Pushing Daisies, una serie di forte impronta burtoniana che al momento passa sul digitale terrestre di Mediaset. Veramente splendida.

Non c'è ancora nessun commento.

Lascia un commento!

«

»