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cultura dell'immagine e della parola

Il senso del rispetto

Il senso del rispetto

Si potrebbe guardare La classe zoommando sugli sguardi dei ragazzi, il linguaggio del loro corpo, la rabbia e la ruvidità delle loro parole. Si potrebbero fare diverse considerazioni sul valore dei luoghi, della loro consistenza, del loro spessore, ma anche sul rapporto che lega l’uomo dentro i confini e i limiti di un ambiente, di un contesto. Considerando che La classe è anche un film sui limiti dell’uomo, non sarebbe fuori luogo, appunto, una riflessione su ciò che spinge o permette all’uomo di sentirsi parte di un gruppo all’interno di un determinato luogo. Le regole dello stare insieme, l’importanza di una convivenza pacifica, vera, sincera.

Ma il film di Laurent Cantet va anche oltre tutto questo. È un film che bussa alla porta di una classe difficile (come si dice nel gergo scolastico), ma forse sarebbe meglio dire complessa, o anche, variegata, multiforme, colorata, e compie un viaggio lungo un anno alla scoperta delle vere dinamiche che intercorrono tra i numerosi protagonisti del racconto. Perché, nonostante la natura documentaristica (la macchina a mano è l’assist perfetto), il racconto procede frenetico (il montaggio aiuta ma la chiave del successo è dentro le scelte di recitazione basate sull’improvvisazione, autentico nucleo del discorso) con picchi di tensione emotiva inaspettati, e arriva alla fine di un anno scolastico che non vede nessun vinto e nessun vincitore. O forse, anche se vinti e vincitori ci sono (il professore, in questo caso, potrebbe far parte di entrambi gli schieramenti come alcuni studenti) quel che resta di un anno lungo e faticoso sono le parole, le idee, i ragionamenti, gli sfregi all’intelligenza e i trucioli delle matite temperate come teste spremute, come ragionamenti incanalati nel senso giusto.

Ecco, allora, che quello di Cantet assume la forma di un esempio di film che è alla ricerca di senso. È un film che si presenta come una bussola per orientare lo spettatore nella fatica educativa, nella relazione tra insegnante e alunno, nel rispetto tra “cosa” da imparare e “cosa” da capire. Le lunghe e dolorose battaglie intraprese da Francois (modello di insegnante che racconta un modello di esistenza lavorativa o di esistenza e basta) alle prese con discussioni più o meno accese e litigi più o meno acidi, sono l’esempio più attuale di cosa significhi vivere la scuola, il rispetto, l’interesse. Sia da parte degli insegnanti (che più volte si arrendono o invocano un senso di giustizia collettiva, espresso con misure di intervento spesso generiche e raramente specifiche), sia da parte degli studenti (che a stento riescono a distinguere i luoghi, i registri, gli argomenti del sapere). Gli insegnamenti di Francois scavalcano le mura della classe e della scuola (il titolo originale, Entre les murs, in questa direzione è molto significativo: dentro le mura succede questo, ma fuori, forse, tutto assume forme ancora più aspre, toni più cupi, deviazioni più pericolose) e lasciano un segno. Che poi è da individuare, raccogliere e fare proprio. Un film stimolante, democratico, che dialoga.

Curiosità
Palma d’oro 2008 come Miglior film. Il film è tratto dall’omonimo romanzo di Francois Begaudeau (2006, premio France Culture – Télérama 2006, edizione tascabile uscita per folio nel 2007, edito in Italia da Einaudi Stile Libero), che qui è attore (interpreta se stesso) e sceneggiatore.

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