Robot da guerra
Il mito della donna che si fece uomo esclusivamente alle spalle di una macchina da presa, la Kathryn Bigelow di Point Break (id., 1991), Strange Days (id., 1995) e K-19 (K-19: The Widowmaker, 2002), continua a sorprendere con i 127 minuti di pura adrenalina nell’ultimo The Hurt Locker, presentato alla scorsa edizione della Mostra del Cinema di Venezia e uscitone ingiustamente a mani vuote.
Lucidità, fermezza, pulizia dell’immagine, ma al contempo un impatto emotivo a stento sostenibile si riconfermano le caratteristiche vincenti del cinema hollywoodiano che più amiamo, quello denso, pulsante, pieno. Lo sguardo maschile sulla guerra, citato da chi dalle donne si aspetta soltanto commediole, si specchia ovviamente nel cast tutto al maschile, negli interminabili momenti vissuti dagli artificieri americani sul fronte iracheno.
Se il racconto è in ampia parte dedicato agli attimi di tensione vissuti dai soldati mentre disarmano o fanno saltare diversi ordigni, (quello più razionale e freddo, il colonnello Reed, opposto all’immancabile testa calda, William James), più di uno spazio di riflessione è concesso a considerazioni che nascono, senza dubbio, da una sensibilità femminile. Come la tragicità espressa dal kamikaze che vuole tornare indietro sui suoi passi, come la discussione intorno alla necessità, inaspettata da parte del colonnello, di impegnarsi in qualcos’altro che non sia una carriera militare al limite, ovvero una famiglia, avere qualcuno di cui occuparsi con amore.
Restano delusi coloro che hanno cercato, forzatamente, in The Hurt Locker un istantaneo epigono del film-denuncia (meraviglioso, ma comunque a tesi) Redacted di Brian De Palma (2007). L’orrore, la stupidità, l’inutilità di questa guerra, nello specifico quella per una democrazia imposta con la violenza, costruita sul rifiuto della terra ospitante, è qui dato per scontato, come sfondo quasi ambientale e non interattivo.
La paura e la morte, come tossici sostitutivi dell’amore e della vita, sono i veri protagonisti: uomini dotati di coraggio e intelligenza ma incapaci, perché immersi in un’epoca di aridità, di sterile individualismo sociale e politico, di accogliere le sfide di una vita comune (rappresentati fugacemente nel finale da Evangeline Lilly, paziente ma non accondiscendente moglie di James).
Uomini ridotti a cyborg anaffettivi, alla ricerca di emozioni distruttive che solo il contatto con la morte a mani nude riesce a dare: The Hurt Locker è anche un coraggioso appello all’umanità perduta, privo di ogni retorica come accade soltanto nel miglior cinema.
Curiosità
Il film si basa sui racconti del Premio Pulitzer Mark Bolan, che firma la sceneggiatura, il quale ha realmente vissuto un periodo come giornalista inviato presso una squadra di artificieri.
A cura di Daniela Scotto
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