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La storia nascosta

La storia nascosta

In Italia ci sono tre cose che quando vengono messe in discussione generano infinite polemiche: il Papa, il presidente della Repubblica e la Resistenza. Ogni qual volta il tono del discorso non rasenta l’ossequio, qualcuno leva gli scudi e si scaglia contro la voce fuori dal coro (a torto o a ragione, non ci interessa). Inoltre la storia, come è risaputo, viene scritta da chi vince e di conseguenza appare spesso complicato capire esattamente come si siano svolti i fatti nella realtà storica. Non dimentichiamo che viviamo in Italia, una nazione dove a distanza di oltre sessanta anni ancora si discute sul valore della resistenza, sull’esistenza delle foibe o si dichiara che Mussolini è stato un grande statista che ha fatto il bene della nazione. Tralasciando ogni giudizio sulle dichiarazioni precedenti evidenzierei che nel momento in cui il regista del ghetto per antonomasia, Spike Lee, sceglie di raccontare un episodio “black” realmente accaduto durante la seconda guerra mondiale, in base alle premesse, appare ovvio che le polemiche sull’operazione saranno assolutamente all’ordine del giorno.

Aggiungiamo al conto che Spike Lee ha scelto di raccontare la storia (vera) dei Buffalo Soldiers attraverso però la finzione espressa nel romanzo di James McBride in cui si porta avanti la narrazione sulla base di un falso storico, ovvero che la l’eccidio è la conseguenza di una rappresaglia successiva al tradimento di un partigiano; poco importa che il film inizi con un cartello che dichiara come i fatti a cui si ispira il film non sono riportati in modo storicamente fedele. Appare quanto mai importante chiedersi quanto un film di fiction debba attenersi al ruolo di documento quando si avvicina alla realtà storica. Il paradosso è che polemiche di questo stampo nascano spesso in concomitanza dell’uscita di un film, sebbene il libro che lo ha ispirato sia da tempo sugli scaffali delle librerie. Forse il cinema ha un impatto mediatico maggiore della letteratura, forse in Italia si legge poco e si studia la storia ancora meno, pretendendo che i ragazzi la imparino dal cinema. Provate a chiedervi se l’immaginario dei campi di concentramento di un quindicenne è legato alla visione coatta a cui lo si obbliga a scuola di Schindler’s List o forse alla lettura di un romanzo di Primo Levi? Poco importa che il messaggio del film di Spike Lee sia fondamentalmente pacifista, perché ha falsificato la storia e ha mostrato i partigiani come codardi e traditori. Sarà felice di questo film chi legge con gusto i libri di Giampaolo Pansa, ma anche in questo caso la lettura del testo è aberrante.

Siamo invece di fronte a un film pomposo e straripante, forse uno tra i meno riusciti di Spike Lee ma anche uno tra i più sentiti del regista americano. Un film imperfetto, sotto molteplici punti di vista, ma capace di far parlare e (forse) ragionare sulla storia. Un film che vorrebbe essere al di fuori dei cliché da film di genere, sia di guerra che di black-movie, ma che ne resta irrimediabilmente imbrigliato quando cerca di omaggiare Rossellini e il neorealismo italiano.

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