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Colori pop, sentimenti in bianco e nero

Colori pop, sentimenti in bianco e nero

A distanza di sette anni dal suo ultimo film il regista de I buchi neri torna con un film che ha suscitato critiche contrastanti: in concorso alla 65° edizione della Mostra del Cinema di Venezia, condivide con un altro italiano in concorso ( Ozpetek ) parte del cast.
Nessuno dei due ha ottenuto riconoscimenti, ma senz’altro sono più appropriate a questo pastiche (o pasticcio?) a tinte vivaci Isabella Ferrari e la Guerritore, due delle molte donne di un film che sembra soprattutto volere descrivere l’universo femminile colorato e variegato.

Alla maniera di Almodóvar, in un certo qual modo, anche se Corsicato resta all’epidermide piuttosto che entrare nel cuore doloroso del sentimento e approfondire la dimensione interiore: il risultato è un film colorato e superficiale, in cui tematiche di un certo peso come aborto e infertilità (e stupro) costituiscono quasi un corollario dei corpi che si muovono sullo schermo, seguendo la logica del grottesco, sottolineata da una colonna sonora che recupera vecchie canzoni della tradizione popolare italiana e da una fotografia policroma che altera la realtà (se mai ce ne fosse bisogno).

Gli uomini non hanno peso, nonostante uno di loro sia quello che dà origine all’equivoco narrativo su cui si basa il film, e le donne sembrano governate da una sottile stupidità di fondo che a tratti irrita. Si sorride, si ride anche: per le due amanti Iaia Forte e Rosalia Porcaro, per certe sfumature che rimandano alla cultura napoletana, per l’amplesso rapido e asciutto della giovane coppia senza figli che sembra aver perduto il senso dell’amore.

Ma le risate non bastano a qualificare come buon film una pellicola che sembra essere nata non tanto da una reale esigenza espressiva quanto dalla voglia di mettere in scena un teatrino un po’ pop, un po’ surreale, e in fin dei conti nessuna di queste cose. Neanche l’inquietante finale riesce a risollevare il film con un colpo d’ala, e la logica del siparietto finisce per avere la meglio anche sui deprimenti squarci metropolitani e sulla sovrabbondanza di citazioni (e autocitazioni) cinefile.

Tuttavia il cast è azzeccato (con la sola eccezione di Gassman) e il film offre la possibilità di prendersi una vacanza dal solito cinema italiano di cui abbiamo visto abbondanti esempi proprio all’ultimo Festival veneziano.

Curiosità
Il film si ispira al racconto La marchesa di O di Heinrich Von Kleist ed è stato girato al Centro direzionale, un quartiere di Napoli progettato negli anni ’90 dall’architetto giapponese Kenzo Tange.

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