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cultura dell'immagine e della parola

Venezia, Violet Hill
31 agosto

Una scena di <i>Ponyo</i>” /><strong>Feconda, lacerata, fragile donna</strong></p>
<p>C’è stata la Tilda Swinton di <em>Burning After Reading</em>, dura e mascolina, di una femminilità trasparente; e il suo opposto identico, una Frances McDormand risoluta ma folle nel suo desiderio di modellare un corpo imperfetto. Poi la moglie dell’artista ne <em>Achille e la tartaruga</em>, unico essere sulla terra sacrificale per natura, capace di accogliere contemporaneamente amore ed arte.<br />
Le femmine di <em>Landscape No.2</em> entrambe condannate a immolare il proprio figlio, l’una virginale e asensuale, l’altra vorace e accogliente.<br />
La protagonista di <em>Jerichow</em>, spogliata di ogni dignit&agrave, perduta;la femme fatale di <em>Inju</em>, talmente perfetta da dover incarnare il destino di morte; i visi-mondo di <em>Shirin</em>, di bellezza, modestia e creatività; le vittime e le carnefici di <em>Encarnacao do Demonio</em>, dove la capacità di concepire diventa tutt’uno con quella di morire e portare morte; la schiava liberata di <em>Zero Bridge</em> che ritorna ad essere una donna rinchiusa, senza via d’uscita. Un rapporto che viene inevitabilmente condizionato dalla relazione madre-figlia, mistero assoluto che in <em>The Burning Plain</em> rende la protagonista Charlize Theron spaventata, incapace di gestire la pericolosità fagocitante dell’essere donna.</p>
<p><strong>Nella mezzanotte di ieri è arrivata anche Emmanuelle Beart, creatura d’acqua nel film <em>Vinyan</em></strong> del regista Fabrice Du Welz, che distrugge con la forza di una tempesta l’uomo amato per sprofondare nella sua terribile fecondità, una madre che è miracolo e minaccia al contempo.<br />
La protagonista di <em>L’autre</em> (Patrick-Mario Bernard e Pierre Trividic i registi) invece rimane impigliata in una solitudine di percorsi notturni: <strong>Dominique Blanc sposta il suo corpo e la sua anima oltre lo specchio</strong>, trovandosi e perdendosi allo stesso tempo. Un corpo doppio, sangue arterioso e venoso che si rincorrono, corpo in continua ricerca di sè e di una liberazione. E l’Isabella Ferrari di <em>Un giorno perfetto</em> è una donna di estremità: madre e carnefice dei propri figli, impaurita ma irrimediabilmente aggrappata a un uomo violento; santa e puttana, madre e amante, bella e invecchiata.</p>
<p><strong>Poi oggi l’irresistibile meraviglia di fronte a <em>Gake no ue no Ponyo</em> di Miyazaki:</strong> la bambina pesce che racchiude in sè la magia di una purezza quasi ultraterrena, la forza e la capacità d’amore di Lisa, la madre, e l’eterna fecondità del Mare, della Dea della Misericordia, della Madre di Ponyo che è sacra, che è acqua, che genera e rigenera, che trasforma il mondo e lo riporta a uno stato primordiale in cui non esiste minaccia.</p>
<p><strong>Le donne a questa mostra del cinema sono uno specchio sul mondo dove guardarsi</strong>, un mistero in grado di rappresentare il mondo intero, come Kiarostami ha mostrato nel suo film. Come la giovane protagonista di <em>Voy a explotar</em> dello spagnolo Gerardo Naranjo, sono figure femminili in cui l’amore si dilata talmente da diventare morte e tragedia, da sfilacciarsi nel melodramma e raccogliere comunque una goccia di speranza: una nuova vita per la donna, che può portare la vita in sè ed esserne l’essenza più pura.</p>
<p><strong>E così la carne della donna è quella più mostrata, martoriata, visibile perchè significante</strong>: distruttiva come lo tzunami di Ponyo contemporaneamente capace di rivitalizzare il mondo. Tatuata, magicamente trasformata, nodosa o carnosa, bianca, acerba o invecchiata, è un luogo dove perdersi.</p>
				<p class= A cura di Francesca Bertazzoni
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