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cultura dell'immagine e della parola

Venezia. Sembra ieri
30 agosto

Il cast di <i>The burning plan</i> con Guillermo Arriaga” />Ieri, oggi e domani nel film di Guillermo Arriaga <em>The Burning Plain</em> sono tre realtà in continuo movimento. Rimbalzano da un luogo all’altro attraversando i quattro principi vitali di terra, acqua, fuoco e aria. Sono costanti ma anche variabili, sono certezze, visioni, incubi. Sono il rimorso, il peccato e la salvezza. Ieri è stato il giorno del genio di Arriaga, che ha esordito come regista e della bellezza inafferrabile di Charlize Theron, che ha confermato di essere anche brava attrice e coraggiosa produttrice. Un film complesso, faticoso, apparentemente limitato e condizionato, forse, addirittura, ripetitivo. Ma che film. Che tragedia. Che viaggio. A proposito di viaggio, è evidente quanto tra i binari di questo festival ci sia indubbiamente una forte propensione alla novità, alla scoperta all’estrema prova di resistenza dello spettatore nel guardare qualcosa di nuovo. È certamente un festival che propone con coraggio film, non senza debolezze, che emigrano di genere in genere, di luogo in luogo, di tradizione in tradizione. Un film come <em>Plastic City</em>, per esempio, presentato in concorso, comunica un certo desiderio narrativo e di indagine estetica fin dalle prime sequenze. È un film che possiede una tensione narrativa sconosciuta, a tratti incomprensibile e forse inaccettabile, incontrollabile. Ieri qualcuno ha dormito, qualcuno è scappato, qualcun altro è rimasto sveglio e impietrito con l’occhio aperto a qualsiasi risoluzione. Eppure… resta un grosso enigma (almeno per chi scrive).</p>
<p><strong>Chi sale e chi scende</strong></p>
<p><strong>Up</strong><br />
Uno. Arriaga. Per tanti motivi. Intanto è l’esponente massimo della genialità cinematografica legata alla scrittura. È vero si ripete. Ma è nella ripetizione che trova terreno fertile per raccontare una nuova tragedia collettiva e cinematografica.<br />
Due. Charlize Theron. Che ogni volta entra in un personaggio nuovo e diverso, accetta la sfida, si mette in gioco. E anche come produttrice crede in un progetto tutt’altro che conveniente e scontato. È poi quant’è bella!<br />
Tre. L’incipit di <em>Plastic City</em>. Una torre di Babele di nomi proveniente da tutto il globo. E infatti il film un po’ zingaro lo è…</p>
<p><strong>Down</strong><br />
Uno. Chi ancora crede che il colore dell’accredito sia una questione d’onore. Chi ancora fuma nelle code. Chi continua a parlare durante il film di Arriaga alla ricerca di una conclusione prima ancora che la conclusione arrivi e continua a ripetere: “secondo me, secondo me, secondo me…”. Chi si alza dalla poltrona appena scorrono i primi titoli di testa con il buio in sala. È tutta un’unica categoria. Ma poi quando ci ripensi ci ridi sopra. Forse…<br />
Due. Le prese. Che sono poche o mancano e quindi la gente cammina col proprio portatile, scrivendo, inciampando, imprecando. Tanto è vero che a breve, tra i gadget della Mostra, venderanno pure una specie di bretella per agganciarsi il portatile ai jeans.<br />
Tre. Il weekend. Evidentemente il fine settimana, in quanto parola straniera entrata nel nostro vocabolario, mette un pò d’ansia a tutti vista la quantità di militari in zona Mostra… </p>
				<p class= A cura di Matteo Mazza
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