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Festival di Locarno
I premi

Enrique Rivero, vincitore del Pardo d'oroDopo la sorpresa dell’anno scorso, in cui vinse il film giapponese Ai no yokan (The Rebirth), è ancora un film basato sul minimalismo a conquistare il Pardo d’oro. Si tratta del messicano Parque vía, primo lungometraggio del regista Enrique Rivero.
È una sorta di rielaborazione di Oltre il giardino (Being There, Hal Ashby, 1979), che vede protagonista il custode di una villa, Beto, un vecchio indio. Una storia di solitudine e alienazione: Beto si trova a disagio all’esterno e la sua esistenza ha un senso solo dentro le pareti di quell’elegante dimora. Quando la padrona decide di vendere la casa, la sua vita sembra non avere vie d’uscita.
L’approccio è da cine-vérité: Beto non è un attore ma una persona reale che mette in scena se stessa e la sua vita. Una storia in cui si riflettono i contrasti della società messicana, tra ricchi e poveri, bianchi e indios. Si è trattato del film più interessante del concorso: un primo premio meritato, quindi.

Decisamente infelice invece la scelta del secondo premio, il Premio speciale della giuria, assegnato al film tedesco-polacco 33 sceny z zycia della regista Malgośka Szumowska. È la storia di una fotografa e della sua famiglia composta da artisti, la cui vita tranquilla viene interrotta dal momento in cui si scopre che la madre è malata di cancro. Un’opera che vorrebbe essere bergmanian-esistenzialista, ma che non arriva nemmeno a lambire gli ambiziosi obiettivi che si era posta.

Il terzo premio, il Premio per la miglior regia, è andato al canadese Elle veut le chaos di Denis Côté, storia di una ragazza che vive sola con il padre, che la induce alla prostituzione. Centrale nel film è la scelta estetica del bianco e nero e il contesto ambientale in cui avviene la vicenda, un piccolo villaggio di campagna, un mondo dimenticato. Un’opera interessante che ha potuto essere notata solo grazie alla mancanza di opere di alto valore.

Due menzioni speciali ai due interessanti film far east: il cinese Liu mang de sheng yan di Jianlin Pan e il sudcoreano Daytime Drinking di Noh Young-Seok.

Condivisibili i premi ai migliori attori, andati all’italiana Ilaria Occhini, che nel film Mar nero offre un bel ritratto dell’anziana signora e della suo rapporto contrastato con la badante rumena, e all’estroso turco Tayanç Ayaydin per The Market – A Tale of Trade.

Un’edizione dunque tra le peggiori degli ultimi anni, ma nonostante la qualità delle scelte artistiche. Locarno rimane un festival che ha nel suo DNA qualcosa di speciale. Il cinema come gigantesco rito collettivo nelle visioni in Piazza, dove si è in mezzo a 7000 persone, la mancanza di passerelle per la totale mancanza di divismo, la popolarità e l’accessibilità a tutti, un pubblico severo che svolge il ruolo di coscienza critica, non lesinando impietosi fischi quando è necessario.
A ricordarci tutti questi aspetti ci hanno pensato Fulvio Capezzuoli e Toni Tamagni, nel loro bel libro fotografico Locarno mon amour. Un festival del cinema a misura d’uomo. Un aneddoto indicativo, raccontato dagli autori, riguarda Susan Sarandon, ospite a Locarno qualche anno fa, e la sua metamorfosi avvenuta per la Mostra di Venezia di sole due settimane dopo: l’attrice che incontra il pubblico e la diva in passerella sembravano due persone diverse.

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