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cultura dell'immagine e della parola

L’arte di resistere

A Scampia non c’è nulla che non sia merce. I vestiti contraffatti, la cocaina, gli scugnizzi in tre sullo scooter. Tutto è oggetto, cosa inanimata. Una scorta di corpi nei magazzini de Le vele, il condominio-isola, simbolo di questa cittadina.
Roberto Saviano parte dalle merci per scolpire, con le pagine di Gomorra, un monumento terribile e veritiero del Sistema di Napoli e provincia. Camorra, parafrasando il ventinovenne autore, è una parola da magistrati e sbirri. In realtà, è ‘O Sistema: una bestia silenziosa che Saviano anima di cifre, dati, statistiche. E’ stato come aprire il vaso di Pandora e venire a conoscere, forse per la prima volta, i metodi di sopravvivenza di tutte le creature nascoste al suo interno.

Matteo Garrone aveva un colpito molto difficile: da un romanzo che non è solo romanzo, da un saggio che non è solo saggio, doveva trarre un film che fosse a metà tra narrazione pura e semplice indagine. Il libro di Saviano alterna pagine fitte di rilevazioni commerciali e di ragionamenti finanziari a lampi di riflessione spontanei, rabbiosi, lancinanti. Su questo lato più prettamente narrabile, si è espressa la bravura del regista romano. Gli ambienti scelti per il film mostrano vero e proprio coraggio documentaristico. Due su tutti: il blindatissimo (per evidenti ragioni di sicurezza) set di Scampia e quello dentro la discarica di Caivano, più tardi comparsa in tutti i tg per le note vicissitudini anti o pro smaltimento campano dei rifiuti. Per quanto il libro sia documentato e ricco di dati riesce difficilmente a rendere l’idea del degrado ambientale, e anche morale, che il film sa così bene mostrare in tutta la sua reale crudezza.

Le cinque storie che attraversano il film sono in gran parte sottotitolate, scelta solo apparentemente di stile, ma dettata in realtà da una reale esigenza di compresione. Tutti gli attori infatti, sia i professionisti affermati, come l’ottimo Servillo, Impanato e Cantalupo, sia quelli reclutati sulla strada, si esprimono rigorosamente in dialetto. In Gomorra il napoletano è elemento realistico e funzionale alle attività criminali raccontate. Qui i cattivi parlano come devono parlare. È l’italiano sbagliato delle azioni malvagie. Se Tony Montana fosse nato a Scampia avrebbe parlato così.
Significativo anche il rapporto napoletani-cinesi: Saviano espone con dovizia di dati quanto Napoli sia uno snodo cruciale dell’export asiatico. Nel film è quasi grottesca la loro convivenza. Diversi in tutto, trovano un punto d’incontro nelle attività criminali, nella spartizione del territorio intorno a Napoli.

Libro e film sono base e corpo di un unico monumento che si muove a ritmo di faide (la guerra di Secondigliano) e della musica napoletana più smielata. Garrone ha dichiarato quanto sia stato complicato trovare una colonna sonora calzante per un film che ha poco di musicabile. La scelta, coerente con il realismo che ispira tutto il film, è andata proprio per quelle melodie che attraversano i luoghi immortalati dalla pellicola. [img4]I rumori di fondo costituiscono inoltre un’altra intera gamma di risorse sonore che Garrone ha saputo usare al meglio: le urla (quasi come richiami animali, come per proteggere il proprio branco e il proprio territorio), il traffico, gli spari, gli onnipresenti motorini e i passi che rintoccano nella disumana desolazione de Le vele. Tutto diventa ulteriore testimonianza, cacofonica e veritiera, della durezza del racconto e di chi è raccontato.

Scrittore e regista hanno avuto il merito di aver scritto e mostrato cosa siano davvero, fisicamente e mentalmente, il Sistema e gli ultimi venti anni del suo regime. Cosa sia nascere e morire a Scampia e cosa sia, nel mezzo, non vivere affatto.

Gomorra, romanzo di Roberto Saviano, 2006
Gomorra, regia di Matteo Garrone, 2008

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