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cultura dell'immagine e della parola

Impara la truffa e mettila da parte

La cosa che non fa ridere è che è tutto vero.
Il call center Kirby esiste. Ed è esistita Michela Murgia, dipendente Kirby. In seguito quella sventurata è defunta ed è nata l’autrice di un blog in cui veniva raccontata quella precedente vita. Da questo blog è poi nato un libro che ha ispirato Paolo Virzì per il suo ultimo film.
All’origine di questa filiera produttiva c’è lui, il mostro, come lo definisce Murgia: il Kirby. E’ il primo caso di film e libro tratti da un elettrodomestico.
Chiaramente non è solo questo. Intorno ruotano decine di vite (le telefoniste), centinaia di vittime (le casalinghe) e molte migliaia di euro (che non riguardano nè le une nè le altre).
Il Kirby è il mefistofele di tutto ciò. Il suo verbo è il marketing da osteria impartito alle operatrici. Che vegetano in un call center facilmente paragonabile a un luogo di dannazione. Luogo di duplice strage, indubbiamente. Uno: le telefoniste-consulenti pubblicitarie-psicologhe. Due: le casalinghe, invase sul loro territorio domestico dai consulenti informativi-shark. Una strage dal punto di vista professionale e umano e un’altra a mezzo del silenzioso raggiro telefonico e della dimostrazione-truffa.

Murgia raggiunge livelli di cattiveria inarrivabili per Virzì. Il mondo di questo romanzo-inchiesta risulta essere costruito su ipocrisie, su sinonimi fuorvianti, su slogan motivazionali della peggio retorica. Un po’ si ride, un po’ si riflette. E un po’ si piange. Le vittime sono su entrambi i versanti della montagna: telefoniste e casalinghe sono nella stessa barca. Chi turlupina (telefonicamente) è turlupinato (contrattualmente). Solo chi è in cima può dirsi salvo. Ma davvero a portata di perdizione eterna.
Il titolo del libro, Il mondo deve sapere, è proprio l’offerta di ossigeno a un mondo strangolato, quello del precariato, che riguarda non solo giovanotti e giovanotte.
Virzì trae dal libro l’atmosfera soffocante e allucinata del call center. Ma la condisce e la amplia inserendovi dinamiche più personali, legate alle vicende private di alcuni personaggi.
Le tresche tra telefoniste e venditori, quella tra capotelefonista e capo call center e quella senza capo nè coda tra la protagonista e un sindacalista. Virzì esce dalle quattro mura in cui Murgia, proprio per la partenza da un blog, aveva scelto di stare. Gli attori lasciati così “senza redini” danno il meglio. Su tutti, Isabella Ragonese-Marta ed Elio Germano-Lucio. Pacata, quasi rassegnata e indomita laureanda in filosofia lei. Nevrotico, impacciato, finto sicurodisè lui. In una delle fortissime scene finali, il blackout di Germano è quello dell’intero mondo del lavoro. Il suo pianto, i suoi urli, quelli di un’intera generazione.
La storia è molto italiana. Non casualmente l’origine geografica dei [img4]vari personaggi del film (romana, siciliana, toscana) non è mai mascherata. Il fenomeno del precariato subisce in entrambe le opere una trattazione senza pietà che cozza con tutto ciò che è rappresentato dal Kirby-pensiero. Gli interessi aziendali, il fare soldi, il magna magna. Ai precari rimane poco. Contratti di tre mesi a quattrocento euro.

Michela Murgia, nel solco dei blog-che-diventano-libri (come già Gomorra), lascia il suo segno personale. E’ un urlo che dice basta. Un urlo sentito da Virzì e rilanciato in una eco potente e penetrante. Il mondo deve sapere è una truffa per quelli della Kirby. Una truffa giusta, per la prima volta, imparata dalla scrittrice e messa da parte per noi.

Il mondo deve sapere. Romanzo tragicomico di una telefonista precaria, romanzo di Michela Murgia, 2006
Tutta la vita davanti, regia di Paolo Virzì, 2008

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