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cultura dell'immagine e della parola

Paolo Sorrentino presenta Il divo

Giulio Andreotti, l’uomo politico più importante che l’Italia ha avuto negli ultimi cinquant’anni, possiede il fascino dell’ambiguità e una complessità psicologica così intricata da aver incuriosito chiunque nel corso degli anni. Quando ho cominciato a documentarmi su Andreotti, perché avevo voglia da sempre di fare un film su di lui, sono inciampato in una letteratura sterminata e contraddittoria che creava un’autentica vertigine. Per lungo tempo ho pensato che tutto quel “materiale” non potesse mai essere incanalato dentro lo stretto imbuto che un film, con le sue regole, richiede di usare. Inoltre, l’immagine di Andreotti come quintessenza dell’ambiguità, è una patente rilasciatagli non solo dagli studiosi, dai cronisti e dai cittadini italiani, ma è una caratteristica con la quale lui stesso ha sempre giocato e speculato.

A partire dalla dichiarazione sul suo film preferito di sempre: Il dottor Jekyll e Mr. Hyde. E, mentre scriveva best seller garbati, ironici e rassicuranti, buttava lì mezze frasi sul suo archivio privato, pieno di nomi e fatti segreti, dei quali lui solo sembrava essere a conoscenza. Ma la dualità costante, tra una maschera di uomo normale e prevedibile e un privato fatto di mistero e di tenebre, prevede in Andreotti una aneddotica infinita. Ora, di fronte a una letteratura così sconfinata, urge il dono raro della sintesi. Per questa ragione mi servo di ciò che hanno affermato due donne che, molto meglio di me e di altri, possiedono questo dono. Una è Margaret Thatcher che, senza mezzi termini, ha detto di Andreotti: “Sembrava decisamente contrario ai principi etici, ed era addirittura convinto che una persona di principi fosse condannata ad essere una persona ridicola”. L’altra citazione è di Oriana Fallaci: “Mi mette paura, ma perché? Quest’uomo mi ha ricevuto con una gentilezza squisita, cordiale. Mi aveva fatto ridere a gola spiegata, arguto. E il suo aspetto non era certo minaccioso. Quelle spalle strette quanto le spalle di un bimbo, e curve. Quelle mani delicate, dalle dita lunghe e bianche, come candele. Quell’atteggiamento di perpetua difesa. A chi fa paura un malatino, a chi fa paura una tartaruga? Solo più tardi, molto tardi, mi resi conto che la paura mi veniva proprio da queste cose. Il vero potere non ha bisogno di tracotanza, barba lunga, vocione che abbaia. Il vero potere ti strozza con nastri di seta, garbo, intelligenza”.

Ecco, queste due dichiarazioni sull’uomo più potente d’Italia, tra le migliaia che ho letto, mi hanno rivelato l’esistenza di un nucleo centrale poderoso sul quale si poteva imperniare un film.

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