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cultura dell'immagine e della parola

Wes Anderson e
la moda

“You talk like Marlene Dietrich, And you dance like Zizi Wes Anderson sul set de<br />I<i>l treno per il Darjeelin</i>” />Jeanmaire, Your clothes are all made by Balmain, And there’s diamonds and pearls in your hair, yes there are.”</em> (Peter Sarstedt, <em>Where Do You go to My Lovely</em>, dalla colonna sonora originale del film.</p>
<p>A Wes Anderson non interessa la moda. Alle premiere dei suoi film non lo vedrete indossare abiti firmati da famosi stilisti, ma eleganti completi confezionati rigorosamente su misura dal suo sarto di fiducia, Mr. Ned. <strong>Nonostante sia amico di Marc Jacobs, che ha disegnato il set di valigie di Vuitton protagoniste del suo ultimo film</strong>, <em><A href= Il treno per il Darjeeling , non ha mai indossato né posseduto una delle creazioni del celebre stilista.
I personaggi dei film di Anderson non vestono gli abiti delle passerelle e non esibiscono i gadget high tech appena usciti sul mercato, ma possiedono ciò che non si può comprare, uno stile personale unico e inconfondibile.

È proprio di stile che si dovrebbe parlare nel descrivere l’attenzione che il regista mette nel caratterizzare gli abiti indossati dai suoi protagonisti, curati dalla bravissima Milena Canonero, già costume designer per Stanley Kubrick e Sofia Coppola. L’abbigliamento, in questo senso, diventa a tutti gli effetti un mezzo espressivo al pari degli altri elementi che compongono il film, dalla scenografia, alla fotografia, fino alla colonna sonora.
Se la tendenza di Hollywood è quella di suggestionare lo spettatore con gli ultimi accessori di stagione, spingendolo in modo acritico a compare il look esibito dalla starlette di turno nell’ultimo <i>Hotel Chevalier<i>” />blockbuster in uscita, <strong>i film di Anderson vanno nettamente in controtendenza e portano a riflettere sul fatto che ciò che scegliamo di indossare esprime qualcosa della nostra personalità</strong>. </p>
<p>In <em><A href=Hotel Chevalier, prologo del nuovo film Il treno per il Darjeeling, Jack (Jason Schwartzman) incontra la propria ex-fidanzata in una stanza d’albergo ascoltando ossessivamente la canzone di Peter Sarstedt che descrive l’allure inimitabile della propria amata mai dimenticata, una Natalie Portman che porta Voltaire n. 5 indossando il più bon ton dei cappottini con uno stuzzicadenti in bocca.
L’accappatoio giallo profilato di rosso fornito dall’albergo accompagnerà Jack anche in India, sul treno che insieme agli altri fratelli dovrà prendere per raggiungere la madre, e diventerà capo fondamentale del guardaroba e del personaggio: il fratello più piccolo e sensibile, costantemente a piedi nudi, proprio come se fosse ancora in una delle stanze foderate di velluto dell’Hotel Chevalier.

Francis (Owen Wilson), il fratello maggiore, è reduce da un incidente e, pertanto, ricoperto di bende e cerotti. Cammina affidandosi ad un bastone ed al suo fedele e iperorganizzato assistente, Brendan, dando continuamente ordini all’insofferente Peter (Adrien Brody), il fratello di mezzo che indossa immancabilmente gli occhiali da sole del defunto padre dei tre.
Per tutto il film i fratelli indossano completi che potrebbero quasi passare inosservati se non fosse per la precisione con cui sono spiegazzati e sgualciti dal viaggio, dettaglio che li rende perfetti ed estremamente eleganti senza farli apparire sciatti e sciupati. Sul treno per Darjeeling, d’altro canto, niente è lasciato al caso: dai tessuti rajastani con cui sono tapezzate le carrozze, agli elefanti dipinti <i>Il treno per il Darjeelin</i>” />sulle tazze da tè alle divise del capotreno e di Limonata Dolce, la fragile assistente di viaggio che dispensa pozioni narcotiche al limite della legalità ai tre protagonisti, indossando occhiali da bibliotecaria con una spessa montatura nera e il più sgargiante e aderente dei sari tradizionali. </p>
<p><strong>Il treno stesso costituisce un personaggio a sé stante e autonomo</strong>, al pari di tutti gli altri: dipinto di blu oltremare e giallo brillante, tapezzato di bellissimi tessuti ipercolorati, con una sala da pranzo arredata da lampadari di cristallo e quadri di maraja alle pareti.<br />
In linea con l’abbigliamento fintamente trasandato dei tre fratelli Withman è il set di valige che i protagonisti portano con sé in questo eccentrico viaggio alla ricerca di sé stessi, e che non esitano ad abbandonare per non perdere il convoglio ormai partito: <strong>undici valigie in tutto, realizzate da Louis Vuitton e decorate dai disegni di Eric Anderson, fratello di Wes</strong>, che aveva già illustrato con i suoi dipinti retrò e naive le camere da letto dei fratelli Tenenbaum. </p>
<p>Non si pensi, però, di poter entrare in uno dei negozi dell’arcinota griffe per acquistare un beauty-case ispirato al film: <strong>il set originale, infatti, che non sarà commercializzato, è stato esposto a New York</strong>, soggetto ad un asta silenziosa i cui[img4] proventi sono andati ad una associazione che opera a favore dei bambini.<br />
Ancora una volta Wes Anderson non ci spinge ad emulare i suoi protagonisti facendogli indossare qualcosa di riconoscibile e disponibile a tutti, ma <strong>ci fa uscire dal cinema con una suggestione, un’idea</strong>, l’impressione che anche il più superficiale e insignificante dei dettagli sia importante ed esprima qualcosa di noi stessi. </p>
<p>La moda e l’abbigliamento tendono ad essere massificati e stereotipati: vogliamo un determinato accessorio per assomigliare a quella persona che riteniamo sia vincente e riconosciuta come tale da tutti. I personaggi di Anderson, invece, nostalgici e raffinati, sono ben lontani dai luoghi comuni a cui siamo abituati e spingono lo spettatore ad avere più considerazione e senso critico nei confronti di ciò che compriamo e indossiamo. </p>
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