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Enigmi irrisolti

Enigmi irrisolti

Il quarto capitolo della saga di Jigsaw lascia una sensazione a metà tra il curioso e l’incerto. Se la formula è quella, consolidata e ripetuta, dell’eterna caccia a un giudice tanto spietato quanto inafferrabile, capace di mettere le sue vittime di fronte alla più grande scelta della loro vita, dall’altro la costruzione del plot è capace di dare sempre una dimensione nuova alle vicende (dis)umane dei protagonisti.

Per la prima volta il regista Darren Lynn Bousman, già autore dei precedenti Saw II (id., 2005) e Saw III (id., 2006), ci porta a stretto contatto con la filosofia e le ossessioni di Jigsaw, protagonista di questo episodio nonostante la sua morte alla fine del terzo capitolo. Quello a cui assistiamo è una fatale corsa verso un limite rappresentato dal tempo e dalla serie di scelte che il protagonista, il comandante della SWAT Rigg (Lyriq Bent) deve affrontare, trasformandosi da vittima a giudice, da giudice ad allievo, per poi tornare a essere vittima. Un ideale cerchio che sembra potersi applicare anche a noi spettatori, che presi dalla narrazione ci trasformiamo in novelli Jigsaw alla maniera di Hoffman, totalmente incapaci di seguire le sue istruzioni e in fondo desiderosi di veder puniti vizi e cattive abitudini dei nostri simili: il percorso rivelatore nel baratro della psicologia di Jigsaw coinvolge il protagonista, e noi con lui, in un gioco in cui il senso di pietà per la prima volta soccombe sotto un’urgenza di giudizio e di punizione, gettandoci a piene mani nel nostro girone infernale.

Nonostante l’assenza di protagonisti di fama, o forse proprio per questo motivo, la saga di Jigsaw conserva la sua assoluta e inquietante replicabilità nel reale, confermando l’efficacia di un’idea capace di reggere, per ritmo e colpi di scena, anche arrivando sino al quarto episodio. E il nostro eccessivo coinvolgimento, erroneo ma sapientemente indotto, nella corsa al giudizio, ci lascerà con la sensazione di un ultimo, generoso avvertimento da parte di Jigsaw ad avere consapevolezza dei propri limiti per concentrarci su ciò che conta, permettendoci di tirare un sospiro di sollievo, felici di non esserci risvegliati con una maschera di ferro pronta a farci esplodere il cervello.

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