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Hunting o Hollywood Party?

Hunting o Hollywood Party?

Un incipit che fa ben sperare: scene di guerra crude, riprese con macchina a mano traballante, stile cinema verità. Il modo più incisivo di girare combattimenti bellici al cinema, come insegnava Stanley Kubrick in Il dottor Stranamore (Dr. Strangelove or…, 1963) e Full Metal Jacket (id., 1987). Ma questa sembra l’unica cosa positiva, evidentemente un incidente. Dopodichè il film prende una piega decisamente imbarazzante.

The Hunting Party è tratto da un fatto realmente accaduto, raccontato in un articolo della rivista Esquire, che ha visto protagonisti dei veri reporter che si sono messi sulle tracce di Radovan Karadžić. La tesi di fondo è che i criminali di guerra serbo bosniaci non vengano deliberatamente catturati dalle autorità preposte, a causa di un patto segreto che ne garantirebbe la latitanza. Un’opera di denuncia e di impegno civile dunque, ma tutto in un film che sembra non prendersi sul serio neanche per un minuto. L’attore che dovrebbe richiamare Karadžić, con le sue smorfiette, sembra un cattivone dei fumetti. Alcuni personaggi sono ridotti a macchiette, come l’ufficiale NATO indiano, che sembra il mitico Hrundi V. Baksh di Hollywood Party (The Party, Blake Edwards, 1968). Non c’è il minimo tentativo di analisi sul conflitto, nessun tentativo di comprensione delle ragioni di tutte le parti, nemmeno di chi ha commesso crimini di guerra. Perché mai Radovan Karadžić e Ratko Mladić sono considerati eroi popolari nella enclave serbo bosniaca? Il film dribbla accuratamente questa spinosa questione e la risolve nella scena in cui i protagonisti arrivano in un bar frequentato da nazionalisti serbi che sembrano orchi cattivi, personaggi di un horror, o meglio della parodia di un horror. Come non pensare infatti alla scena iniziale del pub di Un lupo mannaro americano a Londra (An American Werewolf in London, John Landis, 1981)? E nel gruppo dei reporter, tale è la loro credibilità, sembra di vedere l’allegra combriccola di Scooby-Doo, complice anche la somiglianza del giornalista più giovane con Shaggy, uno dei protagonisti della celebre serie di cartoon. A tutte queste involontarie citazioni, si aggiunge quella, consapevole, di Chuck Norris nel film Walker, Texas Ranger – Colpo grosso a Fort Worth (Walker, Texas Ranger: One Riot, One Ranger, Virgil W. Vogel, 1993), di cui si vedono spesso vari spezzoni in tv. Sarà autoironia?

Quello che doveva essere un atto di accusa, attraverso un film, scade ben presto in una farsa, e la cosa è tanto più abietta se si considera che si parla di tragedie e atrocità realmente avvenute. La tesi del film, la presunta volontà delle autorità internazionali di lasciare Karadzic latitante, è spiattellata senza troppa convinzione. Durante il film viene il sospetto che ci sia un velato riferimento a Bin Laden, il ricercato numero uno, che interessa realmente al pubblico americano. E puntualmente il suo nome viene citato nei titoli di coda, dando luogo, per semplice analogia, alla più facile dietrologia. Siamo agli antipodi del cinema di Rosi, di Petri o Costa-Gavras.

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