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Quando manca il Fattore X


Una volta un grande critico televisivo (uno che scriveva pezzi strepitosi dialogando col suo cane, tanto per intenderci) mi ha dato un buon consiglio: “evita di recensire un programma dopo la prima puntata, aspetta sempre almeno la seconda”. È una regola che tendenzialmente ho sempre cercato di seguire, più che altro per una questione di buon senso. Visto che non c’è mai troppa fretta, meglio vedersi una puntata in più e scrivere con una cognizione di causa maggiore. Ecco, ora sono qui a confessarvi che se non avessi aspettato un paio di settimane prima di provare a parlarvi di
X Factor, molto probabilmente sarei andato incontro a una delle peggiori figure di palta della mia piccola carriera. Del reality canoro di Raidue, infatti, avrei scritto sostanzialmente un elogio. Non tanto perché al termine della prima puntata ancora non si era caduti nel calderone della polemica e del trash volgare. Più semplicemente, perché mi ci sono volute ben due visioni per capire che non si tratta di una parodia. Che vi devo dire? Io la prima volta l’ho guardato ridacchiando con la convinzione che fosse una furbissima presa in giro. Ma siate onesti: voi ve ne eravate accorti fin da subito che stavano facendo sul serio? Seriamente; messi di fronte a un programma gestito da Francesco Facchinetti in versione “bravo conduttore”, con la Ventura che s’improvvisa esperta di musica e Morgan che fa da trainer ai ragazzini di una boy band, voi non avete pensato che potesse essere tutto un grande scherzo? Bah. Forse sono il peggiore degli ingenui.

Eppure, col senno di poi, mi trovo a pensare che nel mio abbaglio iniziale ci fosse un fondo di sapienza. Guardiamo allo stato attuale delle cose: il programma sembra destinato a un triste naufragio, con i responsabili dei palinsesti che lo rimpallano da un giorno all’altro e i commentatori che si ritrovano ogni mattina sui giornali e in rete per intonargli il kaddish. Il pubblico lo ha rinnegato perché non è riuscito a essere una valida alternativa ai reality attualmente in circolazione (Grande Fratello e Amici di Maria in primis) mentre la critica lo ha preso di mira per l’eccessiva lunghezza, e per le numerose cadute di stile dei suoi protagonisti. A conti fatti, X Factor non è riuscito a spiccare il volo proprio perché si è preso troppo sul serio. E allora mi chiedo: visto che il materiale umano e autoriale c’era, non sarebbe stato meglio spingere sul pedale del naif e farne veramente una sorta di parodia dei classici concorsi che si propongono di “scoprire le star del futuro”? Tanto il castello di carte ormai è caduto. Nessuno crede più alla realtà dei reality, il talento è chiaramente una merce senza valore all’interno del mercato televisivo e – se si cerca di buttarla in polemica – ci si scontra con una concorrenza fin troppo agguerrita.

A questo punto, mi pare che l’unica via per rinverdire un filone ormai arido sia quella che porta dal reality al surreality.
E allora ben vengano le Venture musicofile, i Morgan che armonizzano cori di Mary Poppins, i Facchinetti professionali e i concorrenti che esultano smodatamente per aver passato il turno pur sapendo che saranno ormai dieci anni che un programma come questo non fa uscire nemmeno uno dei suoi protagonisti dall’anonimato per più di un mese. Insomma, che si trasformi in realtà quella terribile cantonata che la prima sera mi ha tenuto per tre ore di fronte al televisore domandandomi: “ci sono o ci fanno?”. Se Fleming ha scoperto la penicillina guardando per caso un piatto di muffa, molto più modestamente la mia dabbenaggine potrebbe essere di una qualche utilità alla nostra sempre più povera Tv generalista, no? Quantomeno mi piace sperarlo.

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