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Un uomo aveva due figli

Un uomo aveva due figli

Mentre partecipi alla rapina e segui Hank scappare con l’auto, ti chiedi se il sesso tra Andy e Gina, il loro dialogo fatto di aspettative, sogni e desideri, avvenga prima o dopo. Questo succede perché la didascalia informa soltanto di quello che sta per succedere nella gioielleria Hanson. Sembra un particolare inconsistente, eppure il film di Sidney Lumet ti conduce in un vero e proprio labirinto morale, sensoriale, umano che ti fa respirare (o capire) soltanto nell’atto conclusivo.
Una tragedia umana scritta sulle percezioni dell’anima e diretta da uno dei registi che più sono riusciti nel corso degli anni a raccontare la follia, la degenerazione del pensiero, l’intrigo, la strategia dell’agire, i risvolti psicologici e le tentazioni pericolose. Lumet racconta una vicenda di assurdità contemporanea, mette l’uomo davanti al bivio della vita e della morte e crea un sottostrato nero di azzeramento dei valori e di certezze.

Nell’istante in cui assisti alla rapina, nell’attimo in cui, poi, ti accorgi di come siano andate le cose e di quanti vetri siano finiti a terra, il tuo atteggiamento nei confronti del film cambia. Non più un solo punto di vista. Non più un unico sistema di narrazione. I pezzi di vetro mandano in frantumi le tue percezioni, le tue aspettative e quelle dei personaggi che vivono nei tuoi occhi. Lumet sceglie di spezzare il racconto e ti mostra una dopo l’altra le reazioni dei tuoi protagonisti. Non ti permette un’immedesimazione, non ti fa scegliere da che parte stare. Il primo a essere cinico e spietato è lui, che ti costringe a guardare le fasi di un avvicinamento dell’uomo verso la fine, lo smarrimento definitivo. Come direbbe il titolo originale, prima che il diavolo sappia che sei morto. Ovvero prima che il diavolo ti porti via, come direbbe il proverbio irlandese da cui è tratto.

Quello di Lumet è un atteggiamento che va oltre l’esercizio di stile. La scomposizione e la ricomposizione narrativa sono strategie usate e abusate nel cinema contemporaneo, ma qui assumono il valore morale di una scomposizione definitiva della vita. L’animo umano che ti vuole raccontare Lumet è spezzato come il suo film. Durante il racconto cerchi di liberarti dalle morse di una ragnatela che ti costringe imprigionato. Durante la vicenda segui impietrito la perversione e l’umiliazione di personaggi sfiniti e senza più controllo. Per questo motivo forma e sostanza, nell’ultima sequenza, raggiungono il punto d’incontro. Mentre tu, spettatore, tiri le somme di una visione sconcertante e assoluta, mentre ragioni su implicazioni, rischi, possibilità e soluzioni finali, mentre cerchi di capire cosa e come, il contatto finale tra padre e figlio ti fa, nuovamente, aprire gli occhi.
E, forse, pensi: “Un uomo aveva due figli”.

Curiosità
Alla conferenza stampa del New York Film Festival dove il film è stato presentato, Lumet ha detto di non aver mai conosciuto Masterson, riferendosi a quest’ultimo come a una donna. Lo sceneggiatore gli ha successivamente inviato un messaggio facendogli notare scherzosamente che i due si erano incontrati sul set del film. Lumet si è scusato e si è giustificato dicendo che quando lavora non riconoscerebbe nemmeno sua madre.

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