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Un giorno ci sarà sangue

Un giorno ci sarà sangue

Seguendo l’apparente linearità dell’ultimo Ubriaco d’amore (2002), discostandosi quindi dalla coralità di Magnolia (1999) o di Boogie Nights, senza però abbandonare la suggestiva visione prospettica dell’uomo che caratterizza da sempre la sua idea di cinema, Paul Thomas Anderson firma il quinto film da regista e sceneggiatore estrapolando il succo del romanzo di Upton Sinclair Oil, in Italia tradotto con il titolo Petrolio!.

Arrivato da noi con l’anonimo e noioso titolo Il petroliere, il film di P.T. Anderson nasce in origine come There will be blood, mostrandosi coerente al percorso personalissimo (e rischioso) che l’enfant prodiges losangelino sta conducendo dal suo esordio scoppiettante (la doppietta schietta e frizzante di Hard Eight del 1996 e Boogie Nights del 1997) fino alla collaborazione con Altman (aiuto regista in Radio America del 2006).

Il titolo/film possiede una forza esplosiva da un punto di vista semantico, narrativo e fonetico perché suggerisce una serie di stimoli affascinanti. Ci si accorge subito della centralità dell’elemento tempo se si considera il futuro del titolo: Anderson comunica un presagio, un’anticipazione di ciò che arriverà, prima o poi, con le conseguenze rantolanti nel buio.
L’uomo, infatti, questa volta attraverso il personaggio Daniel-Day Lewis, Plainview, è il centro di un universo in fase di mutazione e estinzione. Il tempo, anche in There will be blood, assume quindi i tratti di un countdown frenetico che travolge tutto ciò che incontra (le persone, ma anche i luoghi di una zona di confine). Come accadeva in Boogie Nights per l’industria-sogno del porno, o in Ubriaco d’amore (2002) per i sentimenti e l’ansia di individuarli e viverli.

Anderson usa il pretesto dell’oro nero per raccontare come negli anni, nel tempo, si sia sviluppata dentro l’uomo, e quindi nell’occidente, l’avidità e il male. Dal nero passa al rosso blood, alterando abilmente le prospettive di una visione che si nasconde nella classicità, ma si estende verso forme cinematografiche nuove e sperimentali.
In fondo Anderson rimpasta alcuni temi di Magnolia, dove costringeva tempo, senso della vita e relazioni tra odio e amore e dove completava lo scenario in maniera totalmente orgasmica, con la surreale pioggia di rane.

L’assurdo e il sesso (in tutte le sue parti: cuore, testa, corpo) sono così importanti pure in There will be blood dalle prime sequenze, dove Daniel è alla ricerca dell’argento, ma trova petrolio: il suo corpo è ricoperto di liquido melmoso e nero. È appena stato partorito dalla terra (unica figura femminile del film degna di nota) e qui comincia la sua avventura di uomo della terra .

Infine There will be blood ha un’importanza fonetica perché il titolo, come il film, ha un suo ritmo significativo e alternato. Serrato, sincopato, frenetico, molle, diluito, lento. Anche qui si raggiunge un suono prima ancora che un significato. Forse non come in Ubriaco d’amore (Punch-Drunk Love, 2002) uno dei titoli più musicali e poetici di sempre, anche di Eternal Sunshine of the spotless mind (MIchel Gondry, 2004), ma tutto è rivolto alla creazione di atmosfere che mutano con il tempo che scorre, con il ritmo che cambia, con l’uomo che si trasforma.

Curiosità
La colonna sonora del film è firmata da Jonny Greenwood, chitarrista dei Radiohead. Le melodie ricordano il rumore dei macchinari utilizzati nelle raffinerie.
P.T. Anderson ha svolto numerose ricerche per la realizzazione del film recandosi nei musei del petrolio sparsi in California e lasciandosi ispirare completamente dalle fotografie dell’epoca. Ha detto il regista: «Quando si osservano queste fotografie magnifiche si ha un senso di come le persone conducevano le loro vite. C’è una storia ricca in queste aree petrolifere vicino a Bakersfield, dove vivono ancora i pronipoti degli operai del petrolio e in cui si avverte una forte tradizione. Durante le tantissime ricerche sono tornato studente, una cosa veramente emozionante».

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